
Il castello di Ascagnano è la sentinella che vigila l’ingresso nel territorio di Umbertide per chi viene da Perugia. Si staglia solitario e taciturno, seminascosto tra gli alberi che lo circondano, a rimuginare tra i ricordi del passato quando era pieno di vita e di brio e la “contessina” Marianna era la signora indiscussa di quei luoghi.
Marianna (ritratto accanto), figlia del conte Bacinetti, colta e bellissima, era nata a Ravenna nel 1802. In casa Bacinetti la cultura era prerogativa di Marianna, ma la bellezza apparteneva anche alla zia Cornelia Barbara Rossi Martinetti, che fu una delle ispiratrici del poema “Le Grazie” di Ugo Foscolo.
Aveva diciassette anni quando sposò il marchese Ettore Florenzi e si trasferì a Perugia. Frequentava tutti i migliori salotti dove non si facevano solo pettegolezzi, ma si discutevano anche argomenti culturali di alto livello, secondo il costume del tempo. Andava spesso a Roma ed era ben introdotta nei circoli delle famiglie più in vista dove poté incontrare tutti gli uomini più rappresentativi della cultura del tempo.
In uno di questi soggiorni romani, la sua amica contessa Piazza la condusse ad una festa in casa dei signori Torlonia recentemente arricchiti, senza che fosse invitata. La padrona di casa le fece notare con freddezza che simili comportamenti potevano avvenire solo a Perugia. Marianna, che aveva diciannove anni, ferita nell’orgoglio, si nascose in un cantuccio della villa e proruppe in un pianto dirotto. Non c’è niente di più seducente che la bellezza nell’atteggiamento lusinghiero delle lacrime e un distinto signore sulla trentacinquina si precipitò a consolarla.
Quando poco dopo si aprirono le danze, il consolatore volle fare il primo ballo con lei, violando la regola di concedere tale onore alla padrona di casa. Quel cavaliere era il principe Lodovico che poco dopo diventerà Re di Baviera. Tra i due nacque subito un amicizia profonda e un amore duraturo che fece parlare a lungo tutte le cancellerie e le corti d’Europa. Il Re Lodovico I di Baviera venne in Umbria una trentina di volte a trovare la bella contessina e si tratteneva in quel castello che proprio lui aveva regalato all’amante nel 1832, dopo averlo ricomprato. Il marchese Ettore Florenzi, infatti, aveva un pessimo rapporto con il denaro ed era stato costretto a venderlo qualche anno prima per racimolare un po’ di quattrini.
Lodovico venne per l’ultima volta in Umbria nella primavera del 1867 e si trattenne sia a Colombella, dove Florenzi aveva la sua villa più bella, oggi proprietà dell’Università per Stranieri, che ad Ascagnano. Fu un incontro senza eccessivi bollori dal momento che Sua Maestà, ormai senza corona, aveva ottanta anni suonati e la contessa sessantacinque. Ciò che li univa era il vigoroso interesse per la cultura in generale e per la poesia in particolare nella quale il Re di Baviera si era esercitato con successo.
Il marchese Florenzi era morto nel 1833 e Marianna, tre anni dopo, convolò a seconde nozze con Evelino Waddington, un nobile londinese che si era stabilito a Perugia.
Nel castello di Ascagnano sono ancora intatte le camere comunicanti dei due innamorati, mentre quella del secondo marito era situata in un angolo tranquillo e appartato del palazzo per consentirgli, con un tocco di raro e premuroso rispetto, tutto l’agio di meditare sulle manovre politiche da intraprendere al momento opportuno. Evelino, infatti, amava la politica e nel 1867, proprio mentre Marianna e Lodovico si consolavano con la poesia, lui diventava Sindaco di Perugia dopo essere stato consigliere anche nel comune di Umbertide.
Il salotto dove si riunivano i migliori cervelli del tempo non si trovava né a Colombella né ad Ascagnano, ma a Perugia, nella lussuosa residenza di via del Verzaro che Marianna aveva acquistato dai Danzetta nel 1840. L’acquisto fu dettato dal desiderio di lasciar libero l’antico palazzo Florenzi (oggi Silvestri) in via Baglioni, al figlio Lodovico che doveva sposarsi con una Meniconi Bracceschi.
Dopo la “liberazione”, come amavano dire i liberali perugini per indicare la fine del potere pontificio, i salotti perugini più in vista erano tre: quello della principessa Maria Valentini Bonaparte a Porta Sole, della contessa Camilla Oddi Baglioni all’inizio dell’odierna via Bartolo, e di Marianna Florenzi Waddington in via del Verzaro.
Il salotto di Maria Valentini primeggiava su tutti per la cuginanza della principessa con Napoleone III. Maria era infatti figlia di Luciano, fratello di Napoleone I. Ma gli ingegni perugini e forestieri li frequentavano tutti e tre senza discriminazioni ideologiche per non far torto a nessuno. Maria aveva simpatie mazziniane, Marianna liberali e Camilla, se non proprio filo papaline, sicuramente conservatrici. Le solite lingue taglienti, che a Perugia sono state sempre argute, avevano ribattezzato Camilla, fiorentina e brutta, “la vendetta di Firenze” con allusione al tradimento perpetrato da Malatesta Baglioni a danno di quella città quando fu chiamato a difenderla nel 1530.
La più colta delle tre nobildonne era sicuramente Marianna, poliglotta ed in possesso di competenze culturali vastissime. Nella sua casa si ospitava l’erudizione pura e vi passarono nomi come Gioberti, Mamiani, Maffei e Richard Cobden, padre dell’economia liberale, che andarono ad arricchire le presenze fisse della cultura locale quali Purgotti, Bruschi, Martini, Mezzanotte, Massari, Giancarlo Conestabile, il trio Rossi Scotti, Lorenzo Leonij di Todi, Giovanni Pennacchi e tanti altri.
Quando la cultura di provincia si cullava nel conformismo e nella rielaborazione del passato, Marianna traduceva un’opera di Schelling e pubblicava una lunga serie di saggi sull’idealismo tedesco. Fra il 1843 e il 1869 dette alle stampe più di una ventina di opere. Benedetto Croce, il filosofo del neoidealismo italiano, lesse ed apprezzò tutti i saggi filosofici della contessa e così scrisse di lei: “Intorno a questa egregia donna, che visse a lungo in Germania e fu in relazioni personali ed epistolari con molti filosofi della prima metà del secolo XIX, si faccia una pubblicazione documentaria, che riuscirebbe di grande importanza.”
La lunga relazione intellettuale-amorosa tra Marianna e Lodovico, durata circa mezzo secolo, ci ha lasciato un ricco epistolario di quasi quattromila lettere, tutte numerate e disposte in ordine cronologico. Esso costituisce una finestra importante aperta sui personaggi e sulla cultura europea dell’epoca. Mentre si sono salvate le lettere che Marianna inviò all’amico Re di Baviera, purtroppo furono date alle fiamme tutte quelle da lui scritte che la contessa custodiva gelosamente nel palazzo di via del Verzaro. La nuora, tetra e bacchettona fin da giovane, lo diventò ancor più dopo la morte del marito Lodovico e, penetrata in casa della bella e coltissima suocera, volle cancellare i simboli del peccato con la tecnica del fuoco, come si faceva durante l’inquisizione.
Negli ultimi tempi della sua vita, Marianna fu un’assidua frequentatrice degli ambienti culturali di Firenze dove si recava spesso e si tratteneva a lungo. L’ultimo saggio lo dedicò al più grande dei fiorentini, “Dante, Poeta del Pensiero”, affrontando quei temi poetici di cui aveva parlato a lungo con Lodovico e che occupavano gran parte dell’epistolario.
Morì a Firenze, il 15 aprile 1870, all’età di 68 anni quando ancora era piena di energia per affrontare l’impegno di una copiosa saggistica.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 24 ottobre 2006)
Marianna (ritratto accanto), figlia del conte Bacinetti, colta e bellissima, era nata a Ravenna nel 1802. In casa Bacinetti la cultura era prerogativa di Marianna, ma la bellezza apparteneva anche alla zia Cornelia Barbara Rossi Martinetti, che fu una delle ispiratrici del poema “Le Grazie” di Ugo Foscolo.
Aveva diciassette anni quando sposò il marchese Ettore Florenzi e si trasferì a Perugia. Frequentava tutti i migliori salotti dove non si facevano solo pettegolezzi, ma si discutevano anche argomenti culturali di alto livello, secondo il costume del tempo. Andava spesso a Roma ed era ben introdotta nei circoli delle famiglie più in vista dove poté incontrare tutti gli uomini più rappresentativi della cultura del tempo.
In uno di questi soggiorni romani, la sua amica contessa Piazza la condusse ad una festa in casa dei signori Torlonia recentemente arricchiti, senza che fosse invitata. La padrona di casa le fece notare con freddezza che simili comportamenti potevano avvenire solo a Perugia. Marianna, che aveva diciannove anni, ferita nell’orgoglio, si nascose in un cantuccio della villa e proruppe in un pianto dirotto. Non c’è niente di più seducente che la bellezza nell’atteggiamento lusinghiero delle lacrime e un distinto signore sulla trentacinquina si precipitò a consolarla.
Quando poco dopo si aprirono le danze, il consolatore volle fare il primo ballo con lei, violando la regola di concedere tale onore alla padrona di casa. Quel cavaliere era il principe Lodovico che poco dopo diventerà Re di Baviera. Tra i due nacque subito un amicizia profonda e un amore duraturo che fece parlare a lungo tutte le cancellerie e le corti d’Europa. Il Re Lodovico I di Baviera venne in Umbria una trentina di volte a trovare la bella contessina e si tratteneva in quel castello che proprio lui aveva regalato all’amante nel 1832, dopo averlo ricomprato. Il marchese Ettore Florenzi, infatti, aveva un pessimo rapporto con il denaro ed era stato costretto a venderlo qualche anno prima per racimolare un po’ di quattrini.
Lodovico venne per l’ultima volta in Umbria nella primavera del 1867 e si trattenne sia a Colombella, dove Florenzi aveva la sua villa più bella, oggi proprietà dell’Università per Stranieri, che ad Ascagnano. Fu un incontro senza eccessivi bollori dal momento che Sua Maestà, ormai senza corona, aveva ottanta anni suonati e la contessa sessantacinque. Ciò che li univa era il vigoroso interesse per la cultura in generale e per la poesia in particolare nella quale il Re di Baviera si era esercitato con successo.
Il marchese Florenzi era morto nel 1833 e Marianna, tre anni dopo, convolò a seconde nozze con Evelino Waddington, un nobile londinese che si era stabilito a Perugia.
Nel castello di Ascagnano sono ancora intatte le camere comunicanti dei due innamorati, mentre quella del secondo marito era situata in un angolo tranquillo e appartato del palazzo per consentirgli, con un tocco di raro e premuroso rispetto, tutto l’agio di meditare sulle manovre politiche da intraprendere al momento opportuno. Evelino, infatti, amava la politica e nel 1867, proprio mentre Marianna e Lodovico si consolavano con la poesia, lui diventava Sindaco di Perugia dopo essere stato consigliere anche nel comune di Umbertide.
Il salotto dove si riunivano i migliori cervelli del tempo non si trovava né a Colombella né ad Ascagnano, ma a Perugia, nella lussuosa residenza di via del Verzaro che Marianna aveva acquistato dai Danzetta nel 1840. L’acquisto fu dettato dal desiderio di lasciar libero l’antico palazzo Florenzi (oggi Silvestri) in via Baglioni, al figlio Lodovico che doveva sposarsi con una Meniconi Bracceschi.
Dopo la “liberazione”, come amavano dire i liberali perugini per indicare la fine del potere pontificio, i salotti perugini più in vista erano tre: quello della principessa Maria Valentini Bonaparte a Porta Sole, della contessa Camilla Oddi Baglioni all’inizio dell’odierna via Bartolo, e di Marianna Florenzi Waddington in via del Verzaro.
Il salotto di Maria Valentini primeggiava su tutti per la cuginanza della principessa con Napoleone III. Maria era infatti figlia di Luciano, fratello di Napoleone I. Ma gli ingegni perugini e forestieri li frequentavano tutti e tre senza discriminazioni ideologiche per non far torto a nessuno. Maria aveva simpatie mazziniane, Marianna liberali e Camilla, se non proprio filo papaline, sicuramente conservatrici. Le solite lingue taglienti, che a Perugia sono state sempre argute, avevano ribattezzato Camilla, fiorentina e brutta, “la vendetta di Firenze” con allusione al tradimento perpetrato da Malatesta Baglioni a danno di quella città quando fu chiamato a difenderla nel 1530.
La più colta delle tre nobildonne era sicuramente Marianna, poliglotta ed in possesso di competenze culturali vastissime. Nella sua casa si ospitava l’erudizione pura e vi passarono nomi come Gioberti, Mamiani, Maffei e Richard Cobden, padre dell’economia liberale, che andarono ad arricchire le presenze fisse della cultura locale quali Purgotti, Bruschi, Martini, Mezzanotte, Massari, Giancarlo Conestabile, il trio Rossi Scotti, Lorenzo Leonij di Todi, Giovanni Pennacchi e tanti altri.
Quando la cultura di provincia si cullava nel conformismo e nella rielaborazione del passato, Marianna traduceva un’opera di Schelling e pubblicava una lunga serie di saggi sull’idealismo tedesco. Fra il 1843 e il 1869 dette alle stampe più di una ventina di opere. Benedetto Croce, il filosofo del neoidealismo italiano, lesse ed apprezzò tutti i saggi filosofici della contessa e così scrisse di lei: “Intorno a questa egregia donna, che visse a lungo in Germania e fu in relazioni personali ed epistolari con molti filosofi della prima metà del secolo XIX, si faccia una pubblicazione documentaria, che riuscirebbe di grande importanza.”
La lunga relazione intellettuale-amorosa tra Marianna e Lodovico, durata circa mezzo secolo, ci ha lasciato un ricco epistolario di quasi quattromila lettere, tutte numerate e disposte in ordine cronologico. Esso costituisce una finestra importante aperta sui personaggi e sulla cultura europea dell’epoca. Mentre si sono salvate le lettere che Marianna inviò all’amico Re di Baviera, purtroppo furono date alle fiamme tutte quelle da lui scritte che la contessa custodiva gelosamente nel palazzo di via del Verzaro. La nuora, tetra e bacchettona fin da giovane, lo diventò ancor più dopo la morte del marito Lodovico e, penetrata in casa della bella e coltissima suocera, volle cancellare i simboli del peccato con la tecnica del fuoco, come si faceva durante l’inquisizione.
Negli ultimi tempi della sua vita, Marianna fu un’assidua frequentatrice degli ambienti culturali di Firenze dove si recava spesso e si tratteneva a lungo. L’ultimo saggio lo dedicò al più grande dei fiorentini, “Dante, Poeta del Pensiero”, affrontando quei temi poetici di cui aveva parlato a lungo con Lodovico e che occupavano gran parte dell’epistolario.
Morì a Firenze, il 15 aprile 1870, all’età di 68 anni quando ancora era piena di energia per affrontare l’impegno di una copiosa saggistica.
Roberto Sciurpa