Paolo Angeloni

Nel mese di luglio 1889 si dovevano svolgere le elezioni parziali ma andarono a monte perché la nuova legge elettorale n. 5921 del 2 febbraio cambiava le regole e le procedure. Tra l’altro la nomina del sindaco non era più soggetta all’investitura formale da parte del Re. Così ai primi di novembre si votò per il rinnovo dell’intero Consiglio e i liberali fecero cappotto (32 eletti), lasciando all’opposizione il numero minimo previsto dalla legge (5 democratici costituzionali, tra cui Rocchi, e 3 radicali).
I liberali non disponevano di uomini nuovi da lanciare sulla mischia e la sostituzione di Berardi avvenne all’insegna della continuità e del rispetto delle appartenenze, nel senso che Paolo Angeloni (nella foto), il nuovo sindaco, con il suo predecessore, pur non avendo in comune gli anni, condivideva certamente le idee e i programmi.
Nato il 3 marzo 1838 aveva sempre militato nelle file liberali con ruoli defilati e discreti, facendosi apprezzare per la pacatezza del carattere e la competenza nel settore amministrativo, ampiamente dimostrata come responsabile di numerosi enti pubblici. Al Palazzo dei Priori è ricordato per la sua disponibilità verso chiunque, amici e avversari, dote che lo face particolarmente apprezzare, ma non lasciò segni particolari del suo passaggio. Del resto il tempo che ebbe a disposizione non fu eccessivo (i quattro anni previsti dalla nuova normativa) e la disputa sulle scale della Vaccara, da sola, occupò un quarto del mandato.
Uno dei primi provvedimenti del nuovo sindaco riguardava proprio la demolizione di quelle scale, ormai fatiscenti e pericolanti, e i pareri più diversi si scatenarono per la loro ricostruzione. C’era chi sosteneva la tesi di una campata a cascata frontale e ad una sola rampa (come poi fu fatto); chi voleva due rampe opposte parallele alla facciata (come quelle demolite); chi una sola rampa parallela alla facciata. Dapprima sembrava che le due rampe avessero la meglio, specie quando Adamo Rossi, l’ex prete e dotto ex bibliotecario dell’Augusta rese noto che un’ordinanza del Duecento parlava di “scalis”, al plurale. Non si trattava di una prova molto robusta perché era difficile immaginare una rampa con un solo scalino e il plurale poteva riferirsi ai gradini e non alle rampe. In ogni caso a primavera la decisione era presa a favore delle due rampe parallele alla facciata. Apriti cielo! Si scatenò una guerra terribile. Annibale Brugnoli e Lemmo Rossi Scotti, i pittori, con varie argomentazioni sostennero che nel Trecento la rampa era unica e frontale, come nel palazzo di Gubbio. Anche la stampa si schierò e dal momento che “L’Unione Liberale” aveva preso le difese della monorampa, a “La Provincia” rimase la birampa. La polemica si faceva sempre più infuocata, ma nel mese di maggio, Brugnoli la stemperò con una saggia proposta: invece di spendere 2.000 lire per una commissione di esterni che doveva stilare il progetto, con la metà della somma si potevano realizzare le varie soluzioni in un modello in legno su scala naturale da collocarsi sul posto. L’occhio avrebbe fatto poi la sua scelta. Fu realizzata solo la birampa, anche perché la visita del Re si avvicinava e non si poteva lasciare la Fontana Maggiore e il Duomo con la fiancata del Palazzo dei Priori mutilata. Intanto il pittore Ulisse Ribustini, al Caffè Baduel, esponeva i tre disegni delle diverse versioni. Si mosse anche il Consiglio Superiore delle Belle Arti di Roma che nel biasimare il Comune per aver demolito le vecchie scale senza permesso, suggeriva la monorampa poiché il muretto sul ballatoio dell’altra soluzione avrebbe impedito la vista completa dello stupendo portale. Se poi essa dovesse essere parallela alla facciata o a cascata frontale, i Perugini lo avrebbero dovuto chiedere ai documenti del Medioevo. La scala di legno rimase a lungo al suo posto e solo nel 1902 si conclusero i lavori di rifacimento come li vediamo oggi. Per ironia della sorte la realizzazione dei lavori toccò al sindaco Rocchi che sulle colonne del suo giornale aveva difeso la soluzione opposta.
A settembre (1890) arrivò il Re con il principe ereditario, Vittorio Emanuele, per inaugurare il monumento equestre a suo padre, in Piazza Italia. La mondanità aristocratica impazzì, soprattutto la sera del 19 settembre al ballo dei Filedoni. Il cronista, turbato dalla bellezza delle dame perugine, sembra quasi venir meno di fronte a “tanto bagliore che ci offuscava sprigionandosi dai loro occhi e dai loro preziosissimi gioielli, fra tanto splendore di linee e di curve, fra tanto tenero biondo e simpatico bruno e fra tanto candore di braccia e di spalle… ci siamo estasiati”. Il Re e il Principe, ai due angoli opposti della sala, tenevano conversazioni separate. Dopo un paio di ore partirono per Assisi in treno e solo allora ebbero inizio i commenti a tutto campo. Il ventunenne principe piacque alle signore che lo trovarono simpatico e riflessivo, qualcuna addirittura alto.
Il buon sindaco Angeloni non disdegnava incontri meno protocollari. Verso la fine di marzo 1890 successe che Ciro Moroni, direttore de “L’Unione Liberale”, e Francesco Innamorati, astro nascente del Foro perugino, si insultassero in Tribunale. Nominarono i padrini (Angeloni era uno di loro) per “discutere” la questione nel giardino della villa di Valiano. Ad un certo punto giunse trafelato in città uno dei presenti a prelevare emostatici e bende per Moroni seriamente ferito. Gli amici accorsero numerosi e trovarono i due rivali seduti ad un tavolo intenti a infilzare gli spaghetti con capaci forchette. Era il primo di aprile.
Se Rocchi è giustamente considerato il sindaco che realizzò l’acquedotto di Perugia, va detto che ad impostare il progetto fu Angeloni che nell’autunno del 1892 fece approvare al Consiglio un piano di prelevamento idrico dal monte Scirca, per un importo di lire 1.600.000. Rocchi, l’anno dopo, lo modificherà adottando la variante di Bagnara che avrà costi maggiori.
Ma sotto le ceneri di una quiete apparente, Perugia stava cambiando radicalmente. Gli spostamenti verso l’area democratica aumentavano a vista d’occhio preparando la grande rivincita di Rocchi. Anche i clericali cambiavano pelle e le più accese famiglie “temporaliste” si erano convertite alla monarchia. La carrozza che attendeva il Re alla stazione per portarlo in città era quella dei Baldeschi, e della delegazione che a maggio si recò al Quirinale per invitare ufficialmente il Sovrano a Perugia faceva parte il pittore conte Lemmo Rossi Scotti che offrì alla regina Margherita i versi di suo fratello Luigi da lui illustrati.
La bufera antiliberale si scatenò nelle elezioni del mese di aprile 1893 quando un “fascio democratico” che raggruppava tutte le sinistre costituzionali, ottenne 29 consiglieri su 40 e riportò Rocchi alla guida del Comune.
Angeloni si ritirò a vita privata dove la morte lo colse all’età di 59 anni, il 19 novembre 1897.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 15 maggio 2006)