ERASMO GATTAMELATA


Verso la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, dopo una bella sfornata di santi, l’Umbria incominciò a fabbricare i guerrieri. Braccio da Montone era un maestro indiscusso in quel periodo e alla sua scuola si formarono illustri capitani di ventura, combattenti senza patria, che offrivano i loro servigi in giro per l’Italia a che era in grado di pagare di più.
Tra i tanti allievi di Braccio ci fu un certo Erasmo da Narni che si impose all’attenzione dei suoi contemporanei non solo per la bravura nelle armi, ma per una caratteristica rara tra i condottieri mercenari che consisteva nella fedeltà alla parola data.
Alcune notizie sulla vita sono sicuramente esagerate, come quelle riportate dal suo principale biografo, Giovanni Eroli. Più misurato appare Ariodante Fabretti nelle Biografie dei capitani venturieri dell’Umbria. Ma che Erasmo fosse un mercenario sui generis non vi è ombra di dubbio.
Nacque nel 1370 a Narni, senza blasone, figlio di un modesto fornaio di nome Pietro. Dicono che avesse una prestanza fisica imponente. La sua armatura, alta oltre due metri, era costituita da 134 pezzi, misurava 122 centimetri di torace, 74 di spalle e pesava mezzo quintale. Per armare e disarmare un omone del genere occorreva un nutrito staff di meccanici. Ma si tratta di notizie iperboliche messe in giro per ingigantire le gesta e la forza del capitano umbro. Tra l’altro, secondo la stessa fonte, Erasmo fu detto il Gattamelata “ per la dolcezza dei suoi modi e per il suo parlare accorto, mite, dolce e soave”. Espressioni che contrastano con la stazza e il mestiere del personaggio. E’ più probabile che quel soprannome derivasse dalla contrazione di quello di sua madre, Melania Gattelli.
Quando Braccio scoprì questo talento, che aveva solo due anni meno di lui, lo volle nel suo Stato Maggiore e lo predilesse al punto tale da concedergli l’onore di indossare vesti e di portare armi uguali alle sue. Si trattava di un privilegio unico che i grandi capitani di ventura concedevano solo in circostanze particolari e ad uomini eccezionali.
Con il Gattamelata al seguito di Braccio c’erano altri perugini, divenuti famosi, come Niccolò Piccinino, Oddo Fortebracci e numerosi altri. Ad un certo punto si arruolò anche un bergamasco di nome Bartolomeo Colleoni. Apparteneva alla classe 1400 ed era la recluta più giovane dell’esercito braccesco. Più tardi anche lui sarebbe diventato famoso, tanto da essere soprannominato l’invincibile. Ma in quel periodo erano in pochi a dargli fiducia, anche per il suo modo strano di stare a cavallo. Sembrava che si trovasse a disagio sopra una sella che per lui era lo strumento di lavoro. Poi si conobbe il motivo e fu guardato con rispetto e con un po’ d’invidia, come si fa con i maggiorati.
Da Braccio, Gattamelata apprese le regole fondamentali della strategia militare e soprattutto il segreto della rapidità nelle manovre e negli spostamenti. La grande astuzia della tattica nasceva, invece, dalla sua profonda intuizione e dalla capacità di prevedere le mosse dell’avversario. Una delle sue gesta più celebri (1439) fu quella di far risalire il corso dell’Adige da Venezia a Rovereto a cinque triremi e 25 barconi carichi di materiale militare. Erasmo in quel periodo era il comandante in capo delle truppe venete e affidò il comando dell’impresa, che ebbe pieno successo, al suo subalterno Bartolomeo Colleoni.
Dopo ave servito lealmente il maestro Braccio da Montone, nel 1427 passò al servizio del Papa Martino V, che intendeva ripulire l’Italia centrale dalla ingombrante presenza di certi riottosi signori. Tra costoro c’era anche Nicola Varani che pur trascinandosi dietro questo nome maschile per vocazione familiare, era la moglie di Braccio, morto nel 1424, “donna cupida di soprastare alle masse, nata dai signori di Camerino, moglie a principe guerriero e conquistatore, la Varani né sapeva né voleva perdere pur uno de’ suggetti villaggi, non che una terra, un castello”.
Gattamelata fece il suo dovere e riconsegnò a Martino V i territori contesi, ma il suo successore, Eugenio IV, non nutriva simpatie per il condottiero di Narni e, sebbene si fosse guadagnato sul campo il soprannome di Strenuo, il nuovo papa non onorò gli impegni economici pattuiti. Il capitano, deluso e dignitoso, senza portare rancori passò allora al servizio della Serenissima (1434) che gli affidò il comando supremo delle sue truppe.
Erasmo non ebbe mai ambizioni politiche e non prese parte agli intrallazzi dei giochi del potere, molto frequenti negli ambienti di corte. Il suo obiettivo fu solo quello di assolvere nel migliore dei modi le incombenze militari che gli venivano affidate, con la massima lealtà e la devota fedeltà allo Stato che lo pagava. Servì solo tre padroni nella sua vita: Braccio, il Papa e Venezia. Il primo finché fu in vita, il secondo finché non venne meno ai suoi impegni e il terzo fino alla morte. I Veneziani lo sapevano ed erano fieri di avere al loro servizio un generale di cui potevano ciecamente fidarsi. Quando nel 1439 fu colpito dalla malattia che gli impedì di svolgere le sue mansioni guerresche, fu collocato a riposo con tutti gli onori e con il mantenimento del lauto assegno che godeva quando prestava servizio; fu addirittura inserito tra la nobiltà veneta che si onorò di averlo tra i suoi.
Il guerriero che era nato senza blasone, così, ne lasciò uno ai suoi figli: tre cappi (forse trecce di crini di cavallo o corregge di cuoio), con una gatta.
La sua morte (Padova, 16 gennaio 1443) fu onorata con cerimonie pompose e commemorata in un solenne discorso in latino che ne tesseva le lodi, “in funere Gathamelata ducis armorum”, pronunciato da Lauro Quirini e conservato nei codici della Laurenziana-Medicea. Erano presenti il Doge e tutta la nobiltà veneta a rendere omaggio al guerriero di Narni che aveva servito fedelmente la Repubblica più indipendente d’Italia.
Il suo corpo è racchiuso in un’arca, all’interno della Basilica di Sant’Antonio. Dieci anni dopo, Donatello lo avrebbe immortalato nel celebre monumento equestre in bronzo che rimane uno dei capolavori del Quattrocento.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 14 novembre 2005)