LUIGI BONAZZI


Quando incominciò a scrivere la Storia di Perugia, Luigi Bonazzi era un personaggio già noto nell’ambito cittadino. Nessuno lo conosceva nella veste dello storico, ma era sulla bocca di tutti come attore teatrale ed autore di pubblicazioni in prosa e in poesia.
Il padre Giuseppe, domestico presso la famiglia Sorbello, e la mamma Celeste Carattoli si conobbero ad una festa in casa di amici: lui aveva 24 anni e lei 14. Si innamorarono subito e tra un ballo e l’altro decisero di sposarsi senza indugi dal momento che “se ineguale era la nascita, era egualissima la povertà”. Così il 3 marzo 1811 nacque Luigi che portava nel sangue la passione drammatica. A undici anni scrisse una farsa e una tragedia rappresentate in un teatrino privato. Nella sua Autobiografia le definirà “roba da chiodi”, ma il giudizio del marchese di Sorbello fu sicuramente diverso se incoraggiò la famiglia a farlo studiare ottenendogli un posto in seminario.
I nuovi traguardi della cultura non sfiorarono la conformista Perugia che vedeva nel Monti l’alfiere indiscusso dell’ortodossia letteraria, mentre venivano accuratamente esclusi dalle aule scolastiche autori come Foscolo, Leopardi, Vico e Rousseau. E i validi maestri del Ginnasio Comunale, Serafino Siepi e Filippo Antonini, non introdussero certo Bonazzi per i sentieri delle novità romantiche che si affermavano in Europa. Ebbe, comunque, modo di mettersi in luce pubblicando nel 1828 un saggio Sulla cultura delle belle lettere, lavoro modesto e poco originale che dimostrava, però, gli interessi letterari del giovane diciassettenne.
Allo scoppio dei moti del 1831, il malinconico ed impetuoso Bonazzi faceva il finanziere ad Ascoli e si compromise seriamente con il potere papalino simpatizzando per i liberali. Ritornò in gran fretta, per qualche tempo, a Perugia, mentre maturava in lui, “né ateo, né divoto”, quel sottile e ironico anticlericalismo che scaturiva dalla condizione di suddito contrario ai sistemi soporiferi del potere pontificio e che spargerà a piene mani nella Storia di Perugia.
Intanto il fascino dell’amore si faceva strada nei suoi sentimenti e a forza di fantasticare sulle donne cantate dai poeti, finì per costruirsene una tutta sua che trasferì nella “prima onesta femmina che gli capitò d’incontrare”. Si innamorò alla svelta, come suo padre, e a tal punto da cercare un lavoro che gli garantisse la possibilità di mantenere una famiglia. Lo trovò a Bevagna come insegnante di retorica presso la scuola comunale e abbandonò gli studi di medicina da poco intrapresi. Non fu una scelta felice. Poco dopo si arruolò nel corpo dei finanzieri pontifici, ma veniva tenuto sotto controllo per le sue simpatie ondivaghe tra Cavour e Mazzini. Bonazzi era cosciente della situazione resa tangibile, del resto, dai continui trasferimenti (Sant’Angelo in Vado, Ancona, Numana, Ascoli, Città di Castello). Non gli fu permesso nemmeno di sposarsi.
In questo clima di sospetto trascorse cinque anni, dal 1830 al 1835, finché decise di lasciare la finanza pontificia e di tornare a Perugia. Si mise a fare l’insegnante privato con notevole successo, tanto da potersi finalmente sposare. Ma la sua forte passione restava il teatro e si immerse nell’attività filodrammatica con il massimo impegno, mentre seguiva gli avvenimenti politici con profondo interesse intellettuale, senza essere un deciso uomo di azione.
Un episodio simpatico della sua originalità appartiene proprio a questo periodo. Il 29 dicembre 1842 inoltrò domanda di partecipazione al concorso da bibliotecario presso il Comune di Perugia. Si tratta di una domanda “irrituale” divertentissima che conferma la penna felice e piacevole del Bonazzi. Il concorso non andò bene perché c’erano candidati più titolati di lui, ma il fatto rivela come egli fosse ancora alla ricerca di una sistemazione stabile.
A questo periodo risale la scelta più congeniale della sua vita, quella della carriera teatrale intrapresa “all’età di nostro Signore”. Veramente nel 1842 Bonazzi aveva 31 anni e non 33, ma è un particolare di poca importanza. Il futuro storico calcò le scene teatrali per venti anni come attore generico affermato, addirittura celebre, e recitò in quasi tutti i teatri d’Italia, prima con la compagnia di Domeniconi e poi con quella di Gustavo Modena.
Nel 1862 tornò a Perugia richiamato dal Comune che gli affidò l’incarico di insegnante di storia e geografia nel liceo cittadino. Si impose come docente capace ed apprezzato, lasciando positivi ricordi tra i suoi allievi. Risale a questo periodo il saggio su Gustavo Modena e l’arte sua, pubblicato nel 1864: la sua opera migliore, accanto alla Storia di Perugia.
Qualcuno notò lo stile brillante e le capacità analitiche del saggio e di altri scritti minori e cominciò a farsi strada l’idea di utilizzare quella penna per lavori di maggiore importanza. Ma l’imprevedibile Bonazzi non lasciò maturare l’dea e nel 1865 ritornò al teatro nella città di Napoli, sollecitato da un contratto allettante. Fu una parentesi breve, e qualche tempo dopo non rifiutò l’invito del Municipio perugino a ritornare all’insegnamento nel liceo della città.
Siamo alla fine del 1868 o forse all’inizio del 1869. Nel riconfermargli l’incarico della docenza, il Comune lo esonerò dall’insegnamento perché si dedicasse esclusivamente alla stesura della storia patria.
Nel 1871 usciva il primo fascicolo su Perugia antica. L’autore voleva verificare l’indice di gradimento del suo lavoro e non rimase deluso. I fascicoli da sedici pagine, venduti al prezzo di venti centesimi, continuarono ad uscire regolarmente fino alla fine del 1875 quando venne pubblicato il primo volume della Storia di Perugia che fu accolto con enorme successo.
Continuò a scrivere con impegno, rovistando archivi e consultando documenti. Non c’era porta che non si aprisse alle sue richieste. Man mano che procedeva nella ricostruzione dell’identità di Perugia veniva sempre più coinvolto dalle vicende narrate come testimonia lo stile che si fa caldo e vibrante soprattutto nei temi in cui la sensibilità del Bonazzi entra in maggior sintonia con la situazione descritta, come nella Perugia comunale o nei ritratti di alcune famiglie blasonate.
La Storia di Perugia, per ammissione esplicita dell’autore, doveva finire con il ventisettesimo capitolo del secondo volume, dove rifulgono ironia, umorismo e vena poetica. Bonazzi chiude quel capitolo parlando di Emanuele Bourbon di Sorbello, suo compagno di studi, alla cui famiglia doveva tanta gratitudine, dicendo che “morì di 63 anni per una malattia di quel cuore che non trovò dove espandersi [allusione pungente alla moglie del marchese]. Ed io concludo volentieri il corso della mia storia civile con un nome a me caro, che nella solitudine della vecchiaia mi rammenta gli studi e le care fantasie de’ miei giovani anni, quando il sole non mi sembrava pallido come adesso.”
Invece aggiunse ancora un capitolo dedicato ad alcuni perugini, suoi contemporanei, con cui in passato aveva fatto baruffa. La cosa suscitò scalpore e proteste, creò problemi al Comune e fu oggetto di acidi commenti nei salotti buoni della città, dove in parecchi erano inviperiti per essere stati trattati male da un morto.
Il volume, infatti, era in fase di stampa presso l’editore Boncompagni e fu pubblicato una settimana dopo la morte, avvenuta il 2 aprile 1879, nella sua casa di via San Biagio. Quella via, nel cuore della città, oggi porta il suo nome.
Roberto Sciurpa


(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 31 ottobre 2005)