Evelino Waddington

Le elezioni parziali si svolgevano ogni anno per rinnovare un quinto dei consiglieri comunali, oltre i dimissionari e gli eventuali defunti. Venivano dette “elezioni di luglio” dal mese in cui si tenevano. Il sistema del rinnovo scaglionato dei consiglieri era tipico di una società senza fermenti, in cui i notabili dell’aristocrazia terriera avevano in comune gli stessi interessi, oltre alle stesse idee, e le poche schede depositate nell’urna non riservavano sorprese. Ma nella seconda metà dell’Ottocento arrivarono i primi scossoni. Non solo si fecero strada teorie contrarie al liberalismo e alla monarchia, ma in seno allo stesso schieramento liberale comparvero le prime agguerrite divisioni tra progressisti e conservatori. Le elezioni di luglio diventarono, così, un termometro per misurare gli umori e in alcuni casi furono destabilizzanti
Evelino Waddington (nella foto) divenne sindaco grazie a questo sistema. Era un benestante nato a Londra nel 1806, ma da tempo residente a Perugia, dove prese la cittadinanza italiana nel 1838. Per deferenza lo chiamavano “Sir Waddington”, ma nessuno lo aveva nominato “Sir” ed inoltre quel titolo avrebbe dovuto precedere il nome e non il cognome. Nel 1836 sposò Marianna Bacinetti, l’amante del Re di Baviera e vedova del marchese Ettore Florenzi, morto tre anni prima. La signora marchesa, a quanto pare, preferiva l’amore esotico e non aveva tutti i torti perché il marito italiano che le avevano in precedenza affibbiato portava sulle spalle un quarto di secolo più di lei, mentre il distinto londinese era bello, aitante e di quattro anni più giovane. La scelta fu concordata con l’amico Re di Baviera perchè le manovre, già molto avanzate, volevano rimaritarla con il ricco marchese Strozzi di Ferrara, più anziano di lei e che per giunta faceva anche il difficile sulla sua relazione con Ludwig. Evelino, invece, si mostrò più comprensivo; del resto veniva da un paese in cui quasi due secoli prima, un certo John Locke aveva scritto la “Lettera sulla tolleranza”. Ma l’amico Re di Baviera, grande esperto di donne sposate, qualche preoccupazione la nutriva per confidare ad una lettera: “Avremo difficoltà a vederci, un altro Ettore non se ne trova.” Il Papa puntò i piedi e si oppose alla celebrazione del matrimonio misto. Quella ribelle di Marianna gli dava troppe preoccupazioni. Si poteva chiudere un occhio sulla sua relazione con Lodovico, che in fin dei conti era il Re del più grande stato cattolico della Germania, ma che la poliedrica donna accogliesse in casa schiere di liberali mangiapreti e si incaponisse a voler sposare un anglicano scismatico, era troppo. I due colombi rimediarono subito e a Firenze il console britannico formalizzò la loro unione, provocando i fulmini del Papa che bandì la marchesa dagli Stati Pontifici e pose i suoi beni sotto sequestro. Ebbe inizio un periodo di peregrinazioni tra Londra, Parigi e soprattutto Monaco di Baviera, dove Marianna vantava qualche amicizia. Ma il pensiero della bella villa di Colombella, di quella di Ascagnano, del palazzo in via Baglioni, dei numerosi poderi e del clima perugino ebbe la meglio su Evelyn che, folgorato dalla grazia, si fece cattolico. I due coniugi tornarono a Perugia e si stabilirono nel nuovo palazzo di via del Verzaro, oggi sede della facoltà di magistero, dopo che Marianna aveva ceduto l’antico palazzo Florenzi al figlio Lodovico.
Evelino nutriva una spiccata passione per la politica e sognava ambiziosi traguardi, ma dopo le soglie del Comune di Fratta, in cui ricoprì l’incarico di priore, riuscì a varcare solo quelle del Comune di Perugia dove fu consigliere dal 1841 al 1847. La sua ora scoccò dopo la “liberazione” con la nomina a componente della Giunta insediata da Pepoli e poi membro della commissione incaricata di portare al Re Vittorio Emanuele II i risultati del plebiscito. In quella occasione fu insignito del titolo di cavaliere di San Maurizio e Lazzaro.
Il dinamico inglese si dava da fare anche nella società civile e agli inizi del 1863 divenne presidente della “Società Anonima” che aveva il compito di ricercare minerali non meglio precisati nella regione dell’Umbria. L’incarico ebbe breve durata poiché la società venne sciolta per mancanza di minerali. Astuto e stimato per la sua rettitudine, nella Giunta Ansidei rappresentava l’ala conservatrice, molto agguerrita, che intralciava con sistematicità i programmi del sindaco, impegnato in quel periodo nella controversa destinazione urbanistica del colle Landone, sul quale iniziavano i lavori del palazzo che poi diventerà della Provincia, ma che in quel tempo non aveva ancora una destinazione precisa. Ansidei, in attesa di equilibri più stabili, passò la mano allo smanioso Evelino (1867) pur rimanendo in Giunta, e il perugino di Londra divenne sindaco facente funzione. Il ricorso ai sindaci “f.f.” era un espediente diffuso e serviva non solo a stabilizzare situazioni politiche precarie, come in questo caso, ma anche a sostituire titolari assenti per lunghi periodi. L’investitura formale da parte del Re poteva arrivare in un secondo tempo e Waddington la ebbe il 15 marzo dell’anno successivo.
Era necessario che le elezioni di luglio confermassero la svolta conservatrice avvenuta in Comune e il nuovo sindaco si dette da fare in tal senso. Ci fu grande maretta quando si sparse la voce, smentita dagli interessati, che aveva fatto incontrare in casa sua l’Arcivescovo Pecci con il prefetto Gadda. L’unica cosa certa è che in luglio, il candidato clericale Tiberio Borgia ottenne i maggiori consensi (244 voti) e con lui furono eletti Giancarlo Conestabile, Giovanbattista Rossi Scotti e Menicone Meniconi. Da dove venissero tutti quei voti clericali nella Perugia del Venti Giugno non è difficile intuirlo. Il convertito, quindi, poteva ancora tenere le chiavi del Palazzo dei Priori e le tenne fino al 6 marzo 1870, quando il clima politico si modificò e Ansidei riprese il timone del Comune (2° febbraio 1870).
Waddington confermò la linea politica del suo predecessore. Il colera mieteva vittime e anche lui si mise ad esortare i cittadini a “non gettare liquidi dalle finestre” e “a fuggire l’ubriachezza”. Ebbe solo maggiore fortuna perché contro il morbo era arrivato il vaccino con l’amaro “Fernet Branca” che sulla “Gazzetta dell’Umbria” si reclamizzava “anti-choleroso”. Fu un combattente coriaceo e si distinse nell’agone politico fino alla fine, anche dopo la morte della moglie Marianna (1870), cui era legato da devozione profonda. Rimase assessore nella Giunta Ansidei e nel 1877 ricoprì di nuovo, per qualche mese, l’incarico di sindaco f.f. a causa dei soliti dissidi interni ai liberali. La Congregazione di Carità lo ebbe come suo Presidente fino al 1880.
La politica e l’accento anglosassone, che non riuscì mai a perdere, facevano parte della sua esistenza, come l’onestà e la generosità, a volte altezzose ma sincere. Fu prodigo con tutti, fino a fare qualche firma di troppo, per morire indigente nel 1882.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 15 aprile 2006)