Ulisse Rocchi

Nella primavere del 1877 i Perugini poterono assistere alla prima campagna elettorale vivace con colpi bassi e lacerazione di manifesti. I liberali erano impegnati nella consueta gara di litigiosità interna, tanto che Ansidei aveva passato di nuovo la mano a Waddington, sindaco f.f.. Ma questa volta l’avvicendamento non funzionò, tanto che entrambi si dimisero con altri tre assessori. Il Consiglio provvide al ricambio ed entrarono in Giunta Michelotti, Schioccolini e Ulisse Rocchi (nella foto), arrivato a Palazzo dei Priori l’anno prima: una terna di “democratici”. L’otto aprile si insediò il nuovo esecutivo comunale e Schioccolini, l’uomo di Rocchi, divenne sindaco f.f.. Il voto di luglio non portò chiarimenti risolutivi, anzi, per certi aspetti complicò la situazione. La novità fu rappresentata dalla presenza di una lista clericale (Giovan Battista Rossi Scotti, Alessandro Antinori e Giannantonio Ranieri) e di un’altra della Società Operaia, entrambe trombate, mentre i liberali e i progressisti elessero sette candidati ciascuno. Si ricompose una Giunta senza Rocchi e l’avvocato Vincenzo Micheletti divenne sindaco “f.f.” in attesa di equilibri più stabili. I quali non si fecero attendere poiché le posizioni politiche si sovrapponevano, tanto che alcuni candidati figuravano in più liste, prassi diffusa e consentita in quel tempo. Nelle elezioni del luglio successivo (1878) i liberali ebbero la meglio sui progressisti, ma le critiche ad Ansidei non cessarono e il conte decise di farsi da parte. Ebbe inizio l’ascesa di Ulisse Rocchi. Il democratico che si professava “progressista-monarchico” divenne sindaco f.f. il 14 novembre, in attesa del decreto reale che arriverà il 1° luglio successivo. Toccherà a Rocchi, approdato da poco alla monarchia, telegrafare il giubilo di Perugia al sovrano per essere scampato all’attentato di Passanante (17 novembre 1878).
La nomina di Rocchi (17/12/1836-24/2/1919) rappresentò un evento notevole sul piano politico che passò quasi inosservato. Era l’esponente della borghesia che, almeno per il momento, accantonava il notabilato agrario; il progressista che si imponeva sui conservatori; il rappresentante di una generazione che non aveva preso parte alle battaglie del Risorgimento; il “trasformista” prestato alla monarchia senza convinzione. Il suo ingresso “morbido” nelle stanze del potere corrispondeva allo spirito dei tempi e fu agevolato (o voluto) dal prefetto Maramotti in omaggio alle direttive del governo De Pretis che incoraggiava scelte trasformistiche anche nelle periferie della penisola.
Rocchi era un borghese elegante e distinto, di professione medico e direttore dell’ospedale cittadino, proprietario di una discreta tenuta nella zona dell’Elce. Aveva fondato un giornale “La Provincia”, di cui era editore e direttore. In due periodi intervallati fu sindaco per quindici anni (dal 4/7/1879 al 20/5/1885 e dal 27/4/1893 al 29/3/1902). Il suo nome è legato al trinomio “luce, acqua, tram” che rappresenta il pacchetto di opere più significative realizzate in città. Con lui finì anche il “volontariato amministrativo” del governo dei notabili agrari e rese definitiva l’indennità di 2.000 lire annue a favore del sindaco adottata due anni prima.
La sua evoluzione verso la monarchia non destò stupore perché non fu la prima, né sarà l’ultima. Era il prezzo che si doveva pagare, considerato che le chiavi del Palazzo dei Priori si ottenevano per decreto reale. Poco amico delle regole del bilancio e dei condizionamenti in genere, anche nei rapporti con l’esecutivo comunale aveva una teoria tutta sua. Nel gennaio del 1880 la Giunta, a maggioranza moderata, si dimise perché non veniva informata sugli atti che il sindaco sottoponeva al Consiglio. Rocchi rispose al primo firmatario, Tiberio Berardi, che in futuro sarebbe stato più “comunicativo”, ma sottolineò che i sindaci venivano nominati dal Re. Un po’ per il caratterino che si portava addosso e un po’ per il volume delle iniziative intraprese, fu fatto segno a critiche feroci, soprattutto nel secondo periodo del suo mandato, quando era sorretto da una Giunta a maggioranza democratica. Gli esponenti conservatori e la stampa liberale si scatenarono contro di lui poiché non rappresentava solo l’avversario politico che reggeva il Comune, ma anche il proprietario e il direttore di una testata che sul piano delle polemiche dava lezioni a tutti. Gli venivano addossate anche colpe non sue, come la disgrazia lungo la strada delle mura etrusche. Era il 4 febbraio 1902 e sul tratto che sale verso il centro della città, tra l’Arco Etrusco e l’Università per Stranieri, franò il muro di sostegno seppellendo diversi operai. Si scatenò una speculazione politica senza precedenti. Fu la fine politica di Rocchi. Le elezioni parziali del 6 luglio portarono in Consiglio 14 liberali e solo 5 democratici.
I tempi stavano cambiando e socialisti e repubblicani avevano tolto ai liberali il vessillo anticlericale e ai democratici la prerogativa di rappresentare le classi più deboli. Rocchi, non più sindaco ma sempre sulla breccia, riscoprì le sue antiche radici e si accostò al giovane repubblicano Guglielmo Miliocchi che dalle colonne de “Il Popolo”, la testata mazziniana sorta nel 1901, furoreggiava a Perugia. Nelle elezioni politiche del 1909 si candidò per i popolari nei due collegi di Perugia. La sconfitta era scontata, ma ottenne un notevole successo personale, considerato che i suoi avversari erano due deputati di ruolo, Pompili e Fani (1370 voti contro i 2158 di Pompili nel primo e 619 contro i 2321 di Fani nel secondo collegio). Le schermaglie elettorali furono talmente animate che la partecipazione alle urne superò il 60%, cosa mai vista prima d’allora. Per la circostanza gli avversari storici dell’ex sindaco si mobilitarono in massa, e “L’Unione Liberale” satireggiava: “… io sono un democratico / mi si legge negli occhi / e quello che è più comico / lo crede anche Miliocchi. / basta guardarmi l’abito / e sentirmi parlare / per doversi convincere / che sono “popolare”./ D’antica fé monarchica / per seguir l’ideale / vagheggio la repubblica / da schietto radicale./ Per far piacere al popolo / che m’è tanto cortese / faccio il socialistoide / truccato da borghese./ Così tutto d’un pezzo / di diversi frammenti / più non mi raccapezzo / ma fo tutti contenti./ Son tanto benemerito / del paese nativo! / Almen tutti lo dicono, / anche da me lo scrivo…”
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 25 aprile 2006)