Nicola Danzetta

Nei due giorni in cui si votò per il Plebiscito (5 e 6 novembre 1860) si svolsero anche le elezioni per il Consiglio comunale e provinciale. La partecipazione fu scarsa perché si dovevano scrivere i nomi dei candidati sulle schede e con l’analfabetismo imperante l’esercizio effettivo del diritto elettorale veniva frustrato da una spiacevole situazione di fatto.
Lo spoglio delle schede riservò una piccola sorpresa: il conte Federico Pucci Boncambi aveva preso più voti del barone Nicola Danzetta (nella foto), gonfaloniere già da due mesi. Ma non ci furono sussulti né cambiamenti poiché il sindaco veniva nominato per decreto reale nell’ambito degli eletti, così il barone rimase al suo posto con buona pace di tutti. Ormai ci si avviava verso la normalizzazione delle autonomie locali e l’Alto Commissario Pepoli, l’11 dicembre, firmava l’ultimo decreto di una certa importanza: la soppressione delle congregazioni religiose.
Danzetta era nato a Perugia nel 1821, l’anno delle sommosse patriottiche, e aveva respirato l’aria delle vicende risorgimentali. Laureato in Giurisprudenza nel 1840, ricoprì vari incarichi pubblici tra cui quello di amministratore del Nobile Collegio della Mercanzia e di cassiere dell’Istituto di Credito che diverrà poi la Cassa di Risparmio di Perugia.
L’esperienza politica ebbe inizio nel 1845 con l’elezione a consigliere comunale della città papalina, ma fu arrestato qualche anno dopo, nel 1852, con l’accusa di appartenere ad una società segreta di ispirazione mazziniana. Il 20 giugno 1859 fu tra i promotori della sommossa cittadina e tra i membri del governo provvisorio e il 20 luglio dovette fuggire in esilio in seguito alla sentenza di condanna a morte.
Dal mese di novembre, dunque, Nicola Danzetta poté governare il Comune con un Consiglio ed una Giunta liberamente eletti. Ma l’impegno amministrativo fu distratto da altri appuntamenti elettorali importanti, perché il 27 gennaio si doveva votare per le politiche, le prime del nuovo assetto unitario. Era una stagione storica in cui Perugia e l’Umbria costruivano le loro libere assemblee e sceglievano gli uomini cui delegare la rappresentanza nel Parlamento nazionale. Il sindaco si lanciò alla ricerca affannosa dei candidati blasonati e offrì il primo collegio di Perugia nientemeno che a Cavour, il leader indiscusso del liberalismo italiano. L’invito venne declinato con motivazioni nobili in quanto vincoli di affetto e di riconoscenza legavano il primo ministro alla sua Torino, altrimenti “io sarei stato fiero di rappresentare la capitale dell’Umbria… con il suo costante patriottismo e le sciagure eroicamente patite…” Così fu candidato Gioacchino Pepoli con lo stesso Danzetta, un conte e un barone. E poiché Pepoli, una volta eletto, optò per il collegio di Bologna, la sua città natale, in aprile si tennero nuove elezioni.
Questa volta il candidato era il generale Maurizio Gerbaix de Sonnaz che si era fatto un’idea di Perugia e dei suoi dirupi con Manfredo Fanti studiando le cartine militari all’atto della liberazione e da quel giorno non aveva messo più piede in città.
La provincia dell’Umbria comprendeva allora dieci collegi ed aveva dieci deputati. Perugia era divisa in due, la parte nord con Umbertide, il Lago e Città della Pieve apparteneva al primo; i rioni a sud con Bastia ed Assisi al secondo. Le altre circoscrizioni facevano capo a Città di Castello, Fuligno (sic), Spoleto, Todi, Orvieto, Terni, Rieti e Poggio Mirteto. Poche province vantavano un numero di rappresentanti tanto elevato (Torino 19, Milano 18, Napoli 18) ma a rappresentare questa terra, per lunghi anni furono solo in due: Nicola Danzetta di Perugia e Tiberio Berardi di Foligno. Gli altri otto erano tutti importati. Il vezzo di essere “ospitali” verso candidati forestieri è una storia vecchia da noi e non sorprende se poi questi rappresentanti non avessero la minima idea dei problemi del territorio e della gente che aveva loro conferito la delega. Alcuni di loro non si fecero mai vedere da queste parti, forse perché non disponevano di strumenti topografici aggiornati per trovare la strada. D’altra parte, almeno allora, una classe dirigente di qualità non era cresciuta sotto il regime pontificio e si fece ricorso all’unico criterio apparentemente affidabile: il notabilato.
Danzetta lasciò l’incarico di sindaco il 3 maggio 1861 per rappresentare Perugia alla Camera dei Deputati in ripetuti mandati fino al 1871, anno in cui fu nominato senatore del Regno. Temperamento dotato di un saldo controllo di sé, perse le staffe solo nel 1870, l’anno della proclamazione di Roma capitale, quando gli riferirono che un suo dipendente aveva scritto sui muri di Corciano “W il Papa Re”. Per uno come lui che aveva speso la vita lottando contro il potere pontificio dal quale era stato condannato a morte, si trattava di un affronto imperdonabile e qualche giorno dopo il “Corriere dell’Umbria” dava la notizia che il grafomane era stato licenziato.
Fu uno degli ultimi rappresentanti autorevoli di quella classe “risorgimentale” che aveva costruito l’unità d’Italia e godeva di grande prestigio. Quando il 26 marzo 1885, a settantaquattro anni, lasciò questo mondo, i Perugini parteciparono in massa agli imponenti funerali e gli resero onori solenni.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 27 marzo 2006)