PERUGIA E IL TRENO


Prima della liberazione dal potere pontificio era già iniziata la discussione sul progetto di una strada ferrata che unisse Perugia a Roma. All’indomani della proclamazione del Regno d’Italia la discussione riprese sulla base di coordinate diverse. Roma non era più la meta principale con la quale stabilire collegamenti efficienti. Essa appariva isolata, un monumento storico al centro di una regione dal futuro politico incerto, guardata con insofferenza dal patriottismo unitario e con attaccamento tenace dai temporalisti.
Le città con cui si cercarono i contatti furono Firenze, che apriva le porte degli scambi con il nord, e Foligno dove stava per arrivare la ferrovia dalle Marche che assicurava il collegamento con un’altra bella fetta d’Italia. Il dibattito sul programma della rete ferroviaria divenne particolarmente vivace nel 1861 quando in estate le rotaie di Firenze erano arrivate ad Arezzo.
Il progetto originario non prevedeva il tragitto Chiusi-Orvieto-Roma, ma da Cortona, con un tunnel di cerca 5 chilometri, il tracciato sbucava a Mercatale e scendeva la valle del Niccone in direzione di Umbertide e quindi percorreva quella del Tevere fino a Ponte Felcino. Da qui il collegamento con Assisi, Foligno, Terni e Roma era una scelta obbligata. Nelle intenzioni originarie, quindi, Ponte Felcino e non Fontivegge doveva essere la stazione ferroviaria di Perugia e se le cose presero un’altra piega si deve non alle pressioni locali, ma alla necessità di adeguarsi ad un progetto nazionale che adottò il tracciato più lungo di Tuoro, Passignano e Magione per ragioni complesse e spinte fortissime.
I Perugini si schierarono a favore di quest’ultimo tracciato e la ragione ufficiale fu quella dei tre chilometri in più che separavano Ponte Felcino dal centro della città, rispetto a Fontivegge. E’ difficile stabilire se nel braccio di ferro ad alto livello con i progettisti prevalesse il rigore delle argomentazioni dell’onorevole Danzetta, rappresentante perugino al Parlamento, l’opportunità di evitare i costi di un traforo lungo cinque chilometri, o altre considerazioni. Si possono anche capire i calcoli perugini di un secolo e mezzo fa, quando la diligenza in salita non percorreva più di cinque chilometri orari e per arrampicarsi da Ponte Felcino in città occorreva un’ora abbondante. Ma non fu una scelta lungimirante quella di opporsi ad un asse che avrebbe attraversato la regione da nord a sud con una via di comunicazione destinata a fare da spina dorsale del traffico sull’intero territorio nazionale. L’originario tracciato avrebbe evitato gran parte dei problemi di collegamento di cui si discute anche oggi. Ma nel difendere il percorso del Trasimeno, Danzetta non aveva tutti i torti perché si ventilava una terza soluzione che avrebbe tagliato fuori Perugia da ogni possibile approdo ferroviario: quella della Cortona-Mercatale-Umbertide-Gubbio-Fossato.
D’altra parte gli unici onorevoli umbri presenti al primo Parlamento nazionale di Torino erano Danzetta e Berardi; gli altri collegi regionali erano stati offerti ai “forestieri” cui interessavano poco le sorti delle grandi vie di comunicazione in Umbria. Mentre si faceva l’Italia, gli Umbri non c’erano a tutelare gli interessi essenziali di una regione che contava allora dieci collegi.
Dopo lunghe altalene e oscillazioni scomposte, nell’ottobre del 1862 si seppe che il tracciato del Trasimeno sarebbe stato quello definitivo e ufficiale. La scelta, rimessa in discussione senza esito, fece salire Danzetta ai vertici della popolarità e mandò in visibilio i Perugini che videro nella loro città la capitale provvisoria d’Italia (in attesa di Roma). L’idea non era peregrina perché fu dibattuta seriamente e a lungo nel Parlamento di Torino.
Intanto nell’opinione popolare il treno stava diventando un mito. Non solo per i tempi abbreviati che trasformavano in ore un viaggio di giorni, ma anche per i costi più bassi, sopportabili da tutte le tasche. Un biglietto in treno costava 6 centesimi a chilometro (10 in prima classe) contro i 14 della diligenza, senza contare i percorsi più lunghi, le soste e i pernottamenti che questa costringeva a fare. La comodità era un altro elemento da tenere presente: in terza classe (la più economica) si stava molto meglio che nella diligenza più confortevole.
Nel 1865 i lavori erano a buon punto. I binari di Firenze erano arrivati a Torricella e si scavava sotto il colle di Magione, dove venne ucciso da ignoti rapinatori l’ingegnere perugino Filippo Tantini che ispezionava la linea ferroviaria.
Il treno era visto come una freccia: partendo da Firenze alle 12,25 si arrivava ad Arezzo alle 15,38, a Passignano alle 17,20 e a Torricella alle 17,35 (la stazione di Terontola ancora non esisteva).
Sul versante umbro si lavorava senza sosta. A gennaio del 1866 un convoglio proveniente da Orte si fermava a Foligno e la tappa di Perugia era questione di mesi, ma in marzo i programmi subirono un arresto per il crollo del ponte sul Tevere a Ponte San Giovanni. Ci volle tutta l’estate per recuperare il ritardo e prolungare i binari fermi a Collestrada, mentre già dal mese di aprile la Roma-Foligno-Ancona era in perfetta efficienza.
Il 1866 fu l’anno dei miracoli. A Perugia venne costruito l’edificio della stazione ferroviaria, un’opera spartana e senza pretese. Solo molte proteste ottennero un portico per le diligenze, mentre la costruzione della tettoia sui marciapiedi dovrà aspettare più di un secolo. Fu ultimato anche il traforo di Magione che venne attraversato per la prima volta l’11 agosto. Ormai il treno era ad Ellera, alle porte della città, e il 13 dicembre un convoglio partito da Firenze e diretto a Roma, si fermò per la prima volta alla stazione di Fontivegge. L’inaugurazione ufficiale fu celebrata la settimana successiva, il 19 dicembre, con la partecipazione del ministro dei Lavori Pubblici Stefano Iacini, un appassionato macchinista che volle ripetere più volte il passaggio sui binari della stazione, guidando personalmente la locomotiva. Il ministro e il prefetto che gli stava accanto erano accigliati e scuri in volto, non perché insoddisfatti, ma a causa della polvere della lignite che si infiltrava dappertutto. La stampa locale con fierezza scrisse: “Le ferrovie ora solcano il Paese da Susa a Brindisi, da Pinerolo a Napoli!”
Ormai le distanze si erano accorciate: per arrivare a Firenze ci volevano solo 4 ore, 9 per Bologna e 14 per Milano. Roma era più scomoda e bisognava partire alle cinque per arrivare alle 15,35; per Ancona il treno migliore era quello delle 11,40 che giungeva a destinazione alle otto di sera.
L’arrivo e la partenza dei treni costituirono per tutto il 1867 uno spettacolo da non perdere. Dall’acropoli scendevano frotte di curiosi per vedere da vicino i mostri di acciaio e la “Gazzetta” lamentava che a causa della “folla sull’imbarcadero” i viaggiatori faticavano a salire in carrozza.
Nel giugno del 1868, da Arezzo giunse una notiziola a cui nessuno fece caso: una congiungente ferroviaria da Castiglion Fiorentino avrebbe raggiunto la Siena-Chiusi-Roma a Torrita. L’idea divenne progetto e il 17 novembre 1875 fu inaugurata la Terontola-Chiusi.
Perugia e L’Umbria erano tagliate fuori dalle grandi vie di comunicazione del Paese e su quei binari che avevano visto per pochi anni incrociarsi il nord con il sud, avrebbero viaggiato solo treni locali. Ci si limitò a perorare che “la congiungente” passasse il più vicino possibile ai confini regionali. La provincia di Perugia, generosa e rassegnata, elargì contributi notevoli per la realizzazione dell’opera, novello Menelao che, accolto Paride con tutti i riguardi principeschi, al termine dell’ospitalità lo vide partire con Elena.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Vivere d'Umbria dell' 11 maggio 2007)