
I PRIMI PREFETTI A PERUGIA
Nel Regno d’Italia da poco proclamato, il ruolo svolto dai prefetti nelle varie province assunse un’importanza determinante. La preoccupazione di controllare ogni tentativo di rimettere in discussione l’unità raggiunta fu alla base di un assetto statale rigido e accentratore nel quale il Governo, tramite una fitta rete di terminali periferici, esercitava il controllo su ogni settore della giovane nazione. I prefetti si collocavano al vertice della rete ed erano depositari dei più ampi poteri politici, amministrativi e sociali. Venivano scelti tra una rosa di personaggi autorevoli per censo e fede unitaria, anche se sul piano delle capacità amministrative e politiche a volte facevano desiderare qualcosa di meglio. Il serbatoio preferito era il Senato che garantiva l’appartenenza ad un organo istituzionale prestigioso, nominato personalmente dal Re. Governo e Corona si sentivano, così, reciprocamente garantiti nel controllo capillare della realtà nazionale.
A Perugia, il primo prefetto fu il marchese Filippo Gualterio (nella foto). Era nato ad Orvieto il 6 agosto 1819 e aveva partecipato alle lotte risorgimentali. Dotato di vivace intelligenza e di brillanti doti manovriere, vantava ottime conoscenze a Torino dove lo chiamavano “il Mazzini di Casa Savoia”. Dopo la liberazione dal potere pontificio fu il braccio destro di Pepoli nel governo dell’Umbria e, alla fine del regime commissariale, ne continuò l’opera come Sovrintendente Generale (il termine “prefetto” apparirà solo alla fine del 1861) di una provincia che era la più grande d’Italia con Terni, Orvieto, Rieti e la Sabina. Il 20 gennaio del 1861 fu nominato senatore e costituì la triade dei rappresentanti dell’Umbria in senato, con il perugino Francesco Guardabassi e lo spoletino Pompeo Campello. Non mantenne a lungo l’incarico perché l’anno dopo divenne prefetto di Genova, poi di Palermo ed infine di Napoli. Nel 1868 fu nominato ministro dell’Interno del governo Menabrea e poi della Real Casa. Il 10 febbraio 1874 la morte prematura pose fine alla sua carriera politica.
L’Umbria di quegli anni era oggetto di particolari attenzioni. Anche se il plebiscito aveva sancito l’annessione con percentuali vicine al 100%, il tentativo di alimentare il malcontento popolare da parte dei “temporalisti” andava messo nel conto e richiedeva una particolare vigilanza. In questa situazione un politico di convinzioni unitarie robuste era più utile di un funzionario capace: Gualterio fu l’uomo che aveva tutti i requisiti necessari.
Quando se ne andò, nell’aprile del 1862, al suo posto arrivò un altro senatore, il marchese Luigi Tanari, ricevuto in pompa magna ai piedi della Conca dal sindaco Ansidei e da tutte le autorità perugine. L’insediamento e la partenza di un prefetto erano eventi solenni e si celebravano con cerimonie imponenti. Oggi, nel pieno regime delle autonomie locali, questi aspetti sono lontani dalla nostra cultura politica, ma allora il prefetto era una specie di vice Re o vice Primo Ministro che andava trattato con tutti i riguardi. I sindaci venivano nominati formalmente con decreto reale, ma il semaforo verde con l’informativa favorevole partiva dalla segnalazione prefettizia. All’atto dell’insediamento rivolgevano un solenne proclama ai cittadini della provincia, come se detenessero il potere esecutivo, e Tanari si preoccupò di raccomandare paternamente ai “Popoli dell’Umbria” che “patriottismo con sacrificio, concordia con abnegazione, perseveranza con tenacia siano i vostri pregi costanti…” Era nato il 28 luglio 1820 a Bologna; come Gualterio aveva partecipato alle lotte risorgimentali e passava per un esperto di agronomia con molte e apprezzabili pubblicazioni al suo attivo. Anche lui venne nominato senatore nell’infornata del 20 gennaio 1861 e ricoprì incarichi importanti, tra cui quello di Commissario nella Giunta sulla “Inchiesta agraria a sulla condizione della classe agricola”, istituita nel 1887 e nota con il nome di “Inchiesta agraria Iacini”.
In questo contesto, la moglie del prefetto finiva per avere un ruolo rilevante anche se non riconosciuto in maniera formale dalle disposizioni vigenti. Era la First Lady nelle periferie italiane di quegli anni. Le cronache dell’epoca sono ricche di particolari in proposito e la moglie di Tittoni, l’ultimo prefetto perugino di quel secolo, è rimasta famosa per la sua frenetica vita di relazione, per il presenzialismo costante e per i ricevimenti fastosi che offriva all’aristocrazia perugina nei saloni della prefettura. Donna “Bice”, insomma, ebbe una visibilità pari a quella del marito.
Tanari rimase a Perugia fino al 1866, quando fu sostituito da Giuseppe Gadda, un milanese nato nel 1822, anche lui senatore, che diventerà ministro dei Lavori Pubblici del governo Lanza. I due anni della sua permanenza sono caratterizzati dal risveglio dei temporalisti che nell’insuccesso militare di Custoza e di Lissa del 1866 videro la possibilità di rimettere in discussione il destino dello stato pontificio. Le cose andarono diversamente grazie alla vittoria degli alleati prussiani a Sadowa e l’Italia, nelle trattative di pace che seguirono, invece di perdere quello che aveva, come i temporalisti speravano, ottenne anche il Veneto.
Una mattina di maggio del 1867, sfogliando il giornale, si venne a sapere che il sindaco Waddington aveva segretamente ricevuto in casa sua il prefetto Gadda e l’arcivescovo Pecci per esaminare l’opportunità di inserire qualche candidato cattolico nelle liste liberali, in occasione delle imminenti elezioni comunali. Ci fu subito una secca smentita da parte degli interessati, ma la notizia era vera perché una scelta così delicata doveva avere avalli autorevoli. Non tutti i cattolici erano temporalisti e Waddington, perugino di Londra, dava al Governo la massima garanzia nella scelta di quelli più sicuri. Del resto la stessa cosa avverrà un decennio più tardi, quando si trattò di dare il “nulla osta” all’ascesa politica di Rocchi, un borghese democratico, che meglio rappresentava il nuovo corso della “sinistra”, salita al potere nel 1876. Il medico perugino aveva già da tempo preso le distanze dal radicalismo massimalista e verboso di coloro che “con i budelli dell’ultimo prete volevano strozzare l’ultimo re”. Fu una faccenda interamente manovrata da Maramotti, cui la nuova linea politica governativa non dispiaceva affatto. Sia nel primo che nel secondo caso, tutto avvenne d’intesa con il Governo.
Il quarto prefetto, Benedetto Maramotti, venne a Perugia con l’intenzione di restarci. Fu a capo della provincia per 21 anni e quando lasciò il servizio nel 1889, si stabilì in città da pensionato autorevole. Ormai si sentiva perugino a tutti gli effetti, tanto più che sua figlia Emma aveva sposato un Mavarelli, grazie anche ai ricevimenti e ai balli settimanali in prefettura da lui inaugurati e ai quali partecipava la crema cittadina.
Lo sostituì Bernardino Bianchi, e nel 1894 arrivò Bernardo Carlo Ferrari i quali per circa un decennio guidarono la provincia senza lasciare particolari tracce del loro passaggio. Ormai l’unità del Regno si stava consolidando e la “Rerum Novarum” di Leone XIII, il papa che era stato arcivescovo di Perugia, stemperava i bollori della “questione romana” e delle pretese temporaliste.
Mentre il secolo tramontava, nel 1898, arrivò un prefetto dinamico e capace, Tommaso Tittoni, con la brillante “donna Bice”, sua moglie. Nei due anni in cui rimasero a Perugia entrarono nel cuore di molti. Il momento più solenne fu la visita del principe Vittorio Emanuele accompagnato dalla consorte Elena. Quella mattina del 16 ottobre 1899 ad attendere gli ospiti alla stazione, assieme al marito, c’era anche donna Bice alla testa di un nutrito comitato di dame che presero sotto la loro tutela la futura regina d’Italia. Il prefetto accompagnava il futuro Re che qualche anno dopo lo avrebbe nominato primo ministro. Tittoni era destinato, infatti, ad una brillante e lunga carriera politica e quando nel mese di settembre del 1900 lasciò la città per assumere l’incarico di prefetto a Napoli, a salutare i due coniugi si radunò una folla commossa.
Tittoni fu ministro degli Esteri in vari governi e tornò a Perugia più volte a trovare gli amici. Detiene un primato difficilmente battibile: per 15 giorni, dal 12 al 27 marzo 1905, fu Capo del Governo, il più breve nella storia d’Italia.
Nel Regno d’Italia da poco proclamato, il ruolo svolto dai prefetti nelle varie province assunse un’importanza determinante. La preoccupazione di controllare ogni tentativo di rimettere in discussione l’unità raggiunta fu alla base di un assetto statale rigido e accentratore nel quale il Governo, tramite una fitta rete di terminali periferici, esercitava il controllo su ogni settore della giovane nazione. I prefetti si collocavano al vertice della rete ed erano depositari dei più ampi poteri politici, amministrativi e sociali. Venivano scelti tra una rosa di personaggi autorevoli per censo e fede unitaria, anche se sul piano delle capacità amministrative e politiche a volte facevano desiderare qualcosa di meglio. Il serbatoio preferito era il Senato che garantiva l’appartenenza ad un organo istituzionale prestigioso, nominato personalmente dal Re. Governo e Corona si sentivano, così, reciprocamente garantiti nel controllo capillare della realtà nazionale.
A Perugia, il primo prefetto fu il marchese Filippo Gualterio (nella foto). Era nato ad Orvieto il 6 agosto 1819 e aveva partecipato alle lotte risorgimentali. Dotato di vivace intelligenza e di brillanti doti manovriere, vantava ottime conoscenze a Torino dove lo chiamavano “il Mazzini di Casa Savoia”. Dopo la liberazione dal potere pontificio fu il braccio destro di Pepoli nel governo dell’Umbria e, alla fine del regime commissariale, ne continuò l’opera come Sovrintendente Generale (il termine “prefetto” apparirà solo alla fine del 1861) di una provincia che era la più grande d’Italia con Terni, Orvieto, Rieti e la Sabina. Il 20 gennaio del 1861 fu nominato senatore e costituì la triade dei rappresentanti dell’Umbria in senato, con il perugino Francesco Guardabassi e lo spoletino Pompeo Campello. Non mantenne a lungo l’incarico perché l’anno dopo divenne prefetto di Genova, poi di Palermo ed infine di Napoli. Nel 1868 fu nominato ministro dell’Interno del governo Menabrea e poi della Real Casa. Il 10 febbraio 1874 la morte prematura pose fine alla sua carriera politica.
L’Umbria di quegli anni era oggetto di particolari attenzioni. Anche se il plebiscito aveva sancito l’annessione con percentuali vicine al 100%, il tentativo di alimentare il malcontento popolare da parte dei “temporalisti” andava messo nel conto e richiedeva una particolare vigilanza. In questa situazione un politico di convinzioni unitarie robuste era più utile di un funzionario capace: Gualterio fu l’uomo che aveva tutti i requisiti necessari.
Quando se ne andò, nell’aprile del 1862, al suo posto arrivò un altro senatore, il marchese Luigi Tanari, ricevuto in pompa magna ai piedi della Conca dal sindaco Ansidei e da tutte le autorità perugine. L’insediamento e la partenza di un prefetto erano eventi solenni e si celebravano con cerimonie imponenti. Oggi, nel pieno regime delle autonomie locali, questi aspetti sono lontani dalla nostra cultura politica, ma allora il prefetto era una specie di vice Re o vice Primo Ministro che andava trattato con tutti i riguardi. I sindaci venivano nominati formalmente con decreto reale, ma il semaforo verde con l’informativa favorevole partiva dalla segnalazione prefettizia. All’atto dell’insediamento rivolgevano un solenne proclama ai cittadini della provincia, come se detenessero il potere esecutivo, e Tanari si preoccupò di raccomandare paternamente ai “Popoli dell’Umbria” che “patriottismo con sacrificio, concordia con abnegazione, perseveranza con tenacia siano i vostri pregi costanti…” Era nato il 28 luglio 1820 a Bologna; come Gualterio aveva partecipato alle lotte risorgimentali e passava per un esperto di agronomia con molte e apprezzabili pubblicazioni al suo attivo. Anche lui venne nominato senatore nell’infornata del 20 gennaio 1861 e ricoprì incarichi importanti, tra cui quello di Commissario nella Giunta sulla “Inchiesta agraria a sulla condizione della classe agricola”, istituita nel 1887 e nota con il nome di “Inchiesta agraria Iacini”.
In questo contesto, la moglie del prefetto finiva per avere un ruolo rilevante anche se non riconosciuto in maniera formale dalle disposizioni vigenti. Era la First Lady nelle periferie italiane di quegli anni. Le cronache dell’epoca sono ricche di particolari in proposito e la moglie di Tittoni, l’ultimo prefetto perugino di quel secolo, è rimasta famosa per la sua frenetica vita di relazione, per il presenzialismo costante e per i ricevimenti fastosi che offriva all’aristocrazia perugina nei saloni della prefettura. Donna “Bice”, insomma, ebbe una visibilità pari a quella del marito.
Tanari rimase a Perugia fino al 1866, quando fu sostituito da Giuseppe Gadda, un milanese nato nel 1822, anche lui senatore, che diventerà ministro dei Lavori Pubblici del governo Lanza. I due anni della sua permanenza sono caratterizzati dal risveglio dei temporalisti che nell’insuccesso militare di Custoza e di Lissa del 1866 videro la possibilità di rimettere in discussione il destino dello stato pontificio. Le cose andarono diversamente grazie alla vittoria degli alleati prussiani a Sadowa e l’Italia, nelle trattative di pace che seguirono, invece di perdere quello che aveva, come i temporalisti speravano, ottenne anche il Veneto.
Una mattina di maggio del 1867, sfogliando il giornale, si venne a sapere che il sindaco Waddington aveva segretamente ricevuto in casa sua il prefetto Gadda e l’arcivescovo Pecci per esaminare l’opportunità di inserire qualche candidato cattolico nelle liste liberali, in occasione delle imminenti elezioni comunali. Ci fu subito una secca smentita da parte degli interessati, ma la notizia era vera perché una scelta così delicata doveva avere avalli autorevoli. Non tutti i cattolici erano temporalisti e Waddington, perugino di Londra, dava al Governo la massima garanzia nella scelta di quelli più sicuri. Del resto la stessa cosa avverrà un decennio più tardi, quando si trattò di dare il “nulla osta” all’ascesa politica di Rocchi, un borghese democratico, che meglio rappresentava il nuovo corso della “sinistra”, salita al potere nel 1876. Il medico perugino aveva già da tempo preso le distanze dal radicalismo massimalista e verboso di coloro che “con i budelli dell’ultimo prete volevano strozzare l’ultimo re”. Fu una faccenda interamente manovrata da Maramotti, cui la nuova linea politica governativa non dispiaceva affatto. Sia nel primo che nel secondo caso, tutto avvenne d’intesa con il Governo.
Il quarto prefetto, Benedetto Maramotti, venne a Perugia con l’intenzione di restarci. Fu a capo della provincia per 21 anni e quando lasciò il servizio nel 1889, si stabilì in città da pensionato autorevole. Ormai si sentiva perugino a tutti gli effetti, tanto più che sua figlia Emma aveva sposato un Mavarelli, grazie anche ai ricevimenti e ai balli settimanali in prefettura da lui inaugurati e ai quali partecipava la crema cittadina.
Lo sostituì Bernardino Bianchi, e nel 1894 arrivò Bernardo Carlo Ferrari i quali per circa un decennio guidarono la provincia senza lasciare particolari tracce del loro passaggio. Ormai l’unità del Regno si stava consolidando e la “Rerum Novarum” di Leone XIII, il papa che era stato arcivescovo di Perugia, stemperava i bollori della “questione romana” e delle pretese temporaliste.
Mentre il secolo tramontava, nel 1898, arrivò un prefetto dinamico e capace, Tommaso Tittoni, con la brillante “donna Bice”, sua moglie. Nei due anni in cui rimasero a Perugia entrarono nel cuore di molti. Il momento più solenne fu la visita del principe Vittorio Emanuele accompagnato dalla consorte Elena. Quella mattina del 16 ottobre 1899 ad attendere gli ospiti alla stazione, assieme al marito, c’era anche donna Bice alla testa di un nutrito comitato di dame che presero sotto la loro tutela la futura regina d’Italia. Il prefetto accompagnava il futuro Re che qualche anno dopo lo avrebbe nominato primo ministro. Tittoni era destinato, infatti, ad una brillante e lunga carriera politica e quando nel mese di settembre del 1900 lasciò la città per assumere l’incarico di prefetto a Napoli, a salutare i due coniugi si radunò una folla commossa.
Tittoni fu ministro degli Esteri in vari governi e tornò a Perugia più volte a trovare gli amici. Detiene un primato difficilmente battibile: per 15 giorni, dal 12 al 27 marzo 1905, fu Capo del Governo, il più breve nella storia d’Italia.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria dell' 11 gennaio 2010)