IL PRIMO EDITORE TIFERNATE
Costantino Magi apparteneva ad una famiglia agiata della Fratta ed esercitò per alcuni anni la professione di medico. Rimasto vedovo si fece prete e scrisse gli aspetti più salienti della vita cittadina. I manoscritti sono conservati presso la Biblioteca Augusta di Perugia e tra di essi figurano “le vite sommarie degli uomini illustri della Fratta, scritte da Costantino Magi, medico fisico di detta Terra e cittadino perugino”.
Tra le biografie, c’è quella di Melchiorre Taragoni, un personaggio dimenticato, soprattutto dai valenti maestri della prestigiosa scuola editoriale tifernate, tanto che il suo nome non appare in alcuna memoria tipografica. Melchiorre nacque a Città di Castello il 23 marzo 1587 da Sebastiano, un ottimo falegname tutto casa e lavoro che assieme alla moglie Lucia Pazzi, appartenente ad una “riguardevole” famiglia di Citerna, seguì con la massima attenzione l’educazione del figlio. Magi afferma che Melchiorre aveva “introdotto l’esercizio delle stampe nella sua patria” e la testimonianza è certamente credibile perché riferita da un contemporaneo che intrattenne rapporti personali con lui. Le notizie sulla attività tipografica sono scarse in quanto l’autore, nonostante la sua formazione scientifica, è portato a privilegiare gli aspetti soprannaturali e prodigiosi, trascurando i particolari del lavoro e della realtà esistenziale. Ma proprio per questo i rari accenni biografici a quanto avvenuto prima del romitaggio acquistano un valore essenziale e veritiero. Nessuna meraviglia, quindi, se il medico-prete è più colpito dal fascino delle mortificazioni e dalle pratiche spirituali del santo romito, che dalla curiosità di descrivere un’attività artigianale che si stava affacciando per la prima volta nella nostra vallata. La fonte ci informa che nel 1622 ricevette l’abito di San Paolo, primo eremita, a Spello dal Vicario del Vescovo di Spoleto. Perché un tifernate fosse andato a ricevere la vestizione monacale nella zona di Foligno è difficile spiegarlo. A meno che non si ricorra ad una ipotesi abbastanza convincente. Foligno in quel periodo era un centro editoriale importante. Alcuni tipografi tedeschi, dopo il sacco di Magonza del 1462, vennero in Italia alla ricerca di mecenati che finanziassero la nuova ‘ars artificialiter scribendi’.Uno di loro, Johann Numeister, allievo di Johann Gutemberg, con alcuni compagni, si stabilì a Foligno (1463), come copista di manoscritti. In questa città trovò generosi finanziatori nei fratelli Mariotto ed Emiliano Orfini. Fu fondata una società tipografica che stampò nel 1470 il ‘De bello italico adversus Gothos’ di Leonardo Bruni, l’anno seguente le ‘Epistulae ad familiares’ di Cicerone e l’11 Aprile 1472, la prima edizione della Divina Commedia. Foligno era, quindi, un centro tipografico importante, ancor prima di Città di Castello e con molta probabilità Taragoni apprese i rudimenti della tipografia proprio nella terra di San Feliciano, dove i genitori lo avevano inviato dopo gli studi per imparare l’arte. La sua presenza a Spello e la dimestichezza con uomini degli ambienti vescovili, generosi committenti di lavori tipografici, con cui, a quanto pare, aveva stretto familiari contatti anche per le sue tendenze mistiche, renderebbero plausibile l’ipotesi avanzata.
La svolta decisiva, quindi, avvenne nel 1622, quando Melchiorre lasciò il lavoro, la famiglia e gli amici e si ritirò a vita eremitica. Forse già da tempo accarezzava in cuor suo questa idea, di certo accelerata dalla prospettiva del matrimonio, dal momento che il trentacinquenne tipografo stava per essere “accasato con partito molto ricco ed onorato”. Anche allora gli accoppiamenti combinati facevano un brutto effetto e Melchiorre, al tepore del nido domestico con la fresca sposina, preferì l’umido fondo di una cisterna per essere certo di stare lontano dal “ricco e onorato partito”. Lasciò il pozzo solo dietro consiglio del suo direttore spirituale e sulle colline che fiancheggiano la riva sinistra del torrente Niccone, in una borgata chiamata Civitella d’Ugolino (poi Civitella Guasta), fondò una comunità di monaci e costruì un grande tempio dedicato a Sant’Anna, la mamma della Madonna, di cui era particolarmente devoto. Oggi quella località si chiama, appunto, Sant’Anna e conserva i ruderi della chiesa e del convento. Lasciava spesso il suo monastero per scendere alla Fratta dove lo conoscevano tutti e proprio alla Fratta morì nel 1649, in casa di amici.
Le scarne notizie riportate dal Magi ci consentono di supporre con ragionevole certezza che i primi torchi di stampa apparvero a Città di Castello intorno al 1610, quando il ventitreenne Melchiorre era nella pienezza delle sue energie giovanili e poteva trasferire nei garzoni di bottega la passione e la tecnica del nuovo mestiere. Dove avesse appreso l’arte Magi non lo dice e l’ipotesi fatta potrebbe avere un buon fondamento, ma possiamo immaginare che la volontà e l’inventiva fossero utili quanto un buon tirocinio pratico poiché la tecnica tipografica in quel secolo si stava evolvendo a ritmi frenetici, mettendo gli addetti ai lavori di fronte a metodologie sempre nuove. I caratteri mobili in lega metallica di piombo, stagno e antimonio, ad esempio, avevano sostituito gli originari incunaboli ed erano prodotti da fonderie specializzate dalle quali i tipografi li acquistavano a prezzi accessibili, con i fregi decorativi e alcune immagini di uso comune, impresse nelle lastre di rame. L’arte tipografica presupponeva il possesso di una base culturale discreta e il futuro romito, sotto questo profilo, sapeva imporsi con indiscutibile prestigio, come dimostrano le importanti amicizie e gli appoggi altolocati che riuscì a stabilire e che procurarono i contributi necessari alla realizzazione del monastero e della chiesa.
Il periodo in cui iniziò la sua attività editoriale fu felice e disgraziato insieme. La stampa aveva avuto una diffusione enorme in tutta Europa, nel corso del Cinquecento, e la Riforma protestante rappresentò una vera manna per gli editori tedeschi che pubblicarono i testi sacri nella lingua nazionale. Il fervore tipografico, sollecitato dalla Riforma, dette una poderosa spinta alla ricerca di metodologie e di materiali sempre più pratici; ma la stagione del Concilio di Trento diffuse misure restrittive e severe verso ogni tipo di pubblicazione virtualmente sospetta. La Congregazione dell’Indice era molto vigile e dispensava condanne esemplari non solo nei confronti degli autori ritenuti eretici, ma anche delle tipografie che stampavano le loro opere. Taragoni iniziò la sua attività tipografica nel periodo in cui vedevano la luce il “nuncius sidereus” di Galilei ed altre opere osannanti l’eliocentrismo. E’ legittimo supporre che la sua tipografia, collocata nel bel mezzo degli Stati della Chiesa, non si cimentasse in lavori impegnativi e sospetti, limitandosi a stampare prodotti di secondaria importanza e soprattutto innocui per la censura ecclesiastica. Resta il fatto che mentre l’editoria dell’epoca abitava nelle grandi città del nord, in particolare a Venezia, a Città di Castello si gettava il seme da cui sarebbe nata un’abbondante messe di grafici di eccelsa qualità. Oggi i seguaci del Melchiorre tipografo realizzano eccezionali riproduzioni artistiche nei laboratori della città altotiberina, con risultati eccellenti e apprezzati in tutta Italia. L’alto livello tecnico dei maestri tifernati e la loro precisione certosina erano emersi, del resto, qualche decennio fa, durante il complesso lavoro di stampa del vocabolario greco di Lorenzo Rocci. L’uso di particolari caratteri, i ricorrenti accenti e la cura nel collocare in modo giusto gli spiriti richiedevano abilità elevate che solo pochi e qualificati artigiani potevano offrire, in un’epoca in cui la manualità e l’utilizzo del piombo tenevano il posto delle attuali procedure computerizzate.
Costantino Magi apparteneva ad una famiglia agiata della Fratta ed esercitò per alcuni anni la professione di medico. Rimasto vedovo si fece prete e scrisse gli aspetti più salienti della vita cittadina. I manoscritti sono conservati presso la Biblioteca Augusta di Perugia e tra di essi figurano “le vite sommarie degli uomini illustri della Fratta, scritte da Costantino Magi, medico fisico di detta Terra e cittadino perugino”.
Tra le biografie, c’è quella di Melchiorre Taragoni, un personaggio dimenticato, soprattutto dai valenti maestri della prestigiosa scuola editoriale tifernate, tanto che il suo nome non appare in alcuna memoria tipografica. Melchiorre nacque a Città di Castello il 23 marzo 1587 da Sebastiano, un ottimo falegname tutto casa e lavoro che assieme alla moglie Lucia Pazzi, appartenente ad una “riguardevole” famiglia di Citerna, seguì con la massima attenzione l’educazione del figlio. Magi afferma che Melchiorre aveva “introdotto l’esercizio delle stampe nella sua patria” e la testimonianza è certamente credibile perché riferita da un contemporaneo che intrattenne rapporti personali con lui. Le notizie sulla attività tipografica sono scarse in quanto l’autore, nonostante la sua formazione scientifica, è portato a privilegiare gli aspetti soprannaturali e prodigiosi, trascurando i particolari del lavoro e della realtà esistenziale. Ma proprio per questo i rari accenni biografici a quanto avvenuto prima del romitaggio acquistano un valore essenziale e veritiero. Nessuna meraviglia, quindi, se il medico-prete è più colpito dal fascino delle mortificazioni e dalle pratiche spirituali del santo romito, che dalla curiosità di descrivere un’attività artigianale che si stava affacciando per la prima volta nella nostra vallata. La fonte ci informa che nel 1622 ricevette l’abito di San Paolo, primo eremita, a Spello dal Vicario del Vescovo di Spoleto. Perché un tifernate fosse andato a ricevere la vestizione monacale nella zona di Foligno è difficile spiegarlo. A meno che non si ricorra ad una ipotesi abbastanza convincente. Foligno in quel periodo era un centro editoriale importante. Alcuni tipografi tedeschi, dopo il sacco di Magonza del 1462, vennero in Italia alla ricerca di mecenati che finanziassero la nuova ‘ars artificialiter scribendi’.Uno di loro, Johann Numeister, allievo di Johann Gutemberg, con alcuni compagni, si stabilì a Foligno (1463), come copista di manoscritti. In questa città trovò generosi finanziatori nei fratelli Mariotto ed Emiliano Orfini. Fu fondata una società tipografica che stampò nel 1470 il ‘De bello italico adversus Gothos’ di Leonardo Bruni, l’anno seguente le ‘Epistulae ad familiares’ di Cicerone e l’11 Aprile 1472, la prima edizione della Divina Commedia. Foligno era, quindi, un centro tipografico importante, ancor prima di Città di Castello e con molta probabilità Taragoni apprese i rudimenti della tipografia proprio nella terra di San Feliciano, dove i genitori lo avevano inviato dopo gli studi per imparare l’arte. La sua presenza a Spello e la dimestichezza con uomini degli ambienti vescovili, generosi committenti di lavori tipografici, con cui, a quanto pare, aveva stretto familiari contatti anche per le sue tendenze mistiche, renderebbero plausibile l’ipotesi avanzata.
La svolta decisiva, quindi, avvenne nel 1622, quando Melchiorre lasciò il lavoro, la famiglia e gli amici e si ritirò a vita eremitica. Forse già da tempo accarezzava in cuor suo questa idea, di certo accelerata dalla prospettiva del matrimonio, dal momento che il trentacinquenne tipografo stava per essere “accasato con partito molto ricco ed onorato”. Anche allora gli accoppiamenti combinati facevano un brutto effetto e Melchiorre, al tepore del nido domestico con la fresca sposina, preferì l’umido fondo di una cisterna per essere certo di stare lontano dal “ricco e onorato partito”. Lasciò il pozzo solo dietro consiglio del suo direttore spirituale e sulle colline che fiancheggiano la riva sinistra del torrente Niccone, in una borgata chiamata Civitella d’Ugolino (poi Civitella Guasta), fondò una comunità di monaci e costruì un grande tempio dedicato a Sant’Anna, la mamma della Madonna, di cui era particolarmente devoto. Oggi quella località si chiama, appunto, Sant’Anna e conserva i ruderi della chiesa e del convento. Lasciava spesso il suo monastero per scendere alla Fratta dove lo conoscevano tutti e proprio alla Fratta morì nel 1649, in casa di amici.
Le scarne notizie riportate dal Magi ci consentono di supporre con ragionevole certezza che i primi torchi di stampa apparvero a Città di Castello intorno al 1610, quando il ventitreenne Melchiorre era nella pienezza delle sue energie giovanili e poteva trasferire nei garzoni di bottega la passione e la tecnica del nuovo mestiere. Dove avesse appreso l’arte Magi non lo dice e l’ipotesi fatta potrebbe avere un buon fondamento, ma possiamo immaginare che la volontà e l’inventiva fossero utili quanto un buon tirocinio pratico poiché la tecnica tipografica in quel secolo si stava evolvendo a ritmi frenetici, mettendo gli addetti ai lavori di fronte a metodologie sempre nuove. I caratteri mobili in lega metallica di piombo, stagno e antimonio, ad esempio, avevano sostituito gli originari incunaboli ed erano prodotti da fonderie specializzate dalle quali i tipografi li acquistavano a prezzi accessibili, con i fregi decorativi e alcune immagini di uso comune, impresse nelle lastre di rame. L’arte tipografica presupponeva il possesso di una base culturale discreta e il futuro romito, sotto questo profilo, sapeva imporsi con indiscutibile prestigio, come dimostrano le importanti amicizie e gli appoggi altolocati che riuscì a stabilire e che procurarono i contributi necessari alla realizzazione del monastero e della chiesa.
Il periodo in cui iniziò la sua attività editoriale fu felice e disgraziato insieme. La stampa aveva avuto una diffusione enorme in tutta Europa, nel corso del Cinquecento, e la Riforma protestante rappresentò una vera manna per gli editori tedeschi che pubblicarono i testi sacri nella lingua nazionale. Il fervore tipografico, sollecitato dalla Riforma, dette una poderosa spinta alla ricerca di metodologie e di materiali sempre più pratici; ma la stagione del Concilio di Trento diffuse misure restrittive e severe verso ogni tipo di pubblicazione virtualmente sospetta. La Congregazione dell’Indice era molto vigile e dispensava condanne esemplari non solo nei confronti degli autori ritenuti eretici, ma anche delle tipografie che stampavano le loro opere. Taragoni iniziò la sua attività tipografica nel periodo in cui vedevano la luce il “nuncius sidereus” di Galilei ed altre opere osannanti l’eliocentrismo. E’ legittimo supporre che la sua tipografia, collocata nel bel mezzo degli Stati della Chiesa, non si cimentasse in lavori impegnativi e sospetti, limitandosi a stampare prodotti di secondaria importanza e soprattutto innocui per la censura ecclesiastica. Resta il fatto che mentre l’editoria dell’epoca abitava nelle grandi città del nord, in particolare a Venezia, a Città di Castello si gettava il seme da cui sarebbe nata un’abbondante messe di grafici di eccelsa qualità. Oggi i seguaci del Melchiorre tipografo realizzano eccezionali riproduzioni artistiche nei laboratori della città altotiberina, con risultati eccellenti e apprezzati in tutta Italia. L’alto livello tecnico dei maestri tifernati e la loro precisione certosina erano emersi, del resto, qualche decennio fa, durante il complesso lavoro di stampa del vocabolario greco di Lorenzo Rocci. L’uso di particolari caratteri, i ricorrenti accenti e la cura nel collocare in modo giusto gli spiriti richiedevano abilità elevate che solo pochi e qualificati artigiani potevano offrire, in un’epoca in cui la manualità e l’utilizzo del piombo tenevano il posto delle attuali procedure computerizzate.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 26 luglio 2010)