IL RUZZOLONE

Tra le tante attività di un recente passato travolte e sepolte dall’inesorabile avanzar del progresso, ci sono anche alcuni tipi di svago, come il gioco del ruzzolone, molto praticato da noi, da indurre qualcuno a sostenere che sia nato a Perugia. Gli esperti assicurano che derivi dal lancio del disco, ripreso dai Greci e rielaborato dagli Etruschi in maniera originale: il discobolo che lancia l’attrezzo per aria si sarebbe trasformato nel vigoroso atleta che lo sfettuccia per terra. La tesi non è peregrina poiché in un affresco della “tomba dell’olimpiade”, a Tarquinia, è ben visibile un giovane nella classica posa di lancio, e costituisce il documento più antico relativo a questo tipo di sport. D’altra parte il cerchio e la sfera furono le prime forme geometriche a conquistare l’immaginazione e l’interesse dell’infanzia dei popoli; forse è per questo che ogni zona ne rivendica la paternità ed afferma di aver dato i natali al lancio della ruzzola.
L’attrezzo consisteva in un cilindro di legno duro (in genere di sorbo) di 35 o 40 centimetri di diametro, erto 7 o 8, e pesante da un minimo di 2 ad un massimo di 5 chili. Ma le dimensioni ed il peso variavano da zona a zona. Intorno al disco si attorcigliava per due o tre giri una robusta fettuccia di canapa, fissata all’avambraccio da un cappio di cuoio, sulla quale era bloccato un rocchetto di legno a portata delle dita indice e medio che lo arpionavano a uncino. Dopo alcune evoluzioni del braccio, simili a quelle del lanciatore del peso, il ruzzolone veniva liberato togliendo le dita dal rocchetto ed il moto rotatorio impresso dalla fettuccia avviava l’attrezzo in un percorso più o meno lungo.
Si giocava in due, l’uno contro l’altro, o anche in quattro, coppia contro coppia, in gare avvincenti e popolari perché i protagonisti erano operai, artigiani, commercianti e professionisti, giovani e meno giovani con energie in corpo. La sfida era seguita da numerosi spettatori curiosi di vedere la fine e la vittoria spettava a chi, dopo un numero concordato di lanci (in genere quattro o cinque), arrivava più lontano con il suo ruzzolone. Interessante era lo studio della strada prima del lancio da parte del giocatore e l’abilità nel rimettere in carreggiata l’attrezzo. I lanci successivi al primo, infatti, avvenivano dal punto preciso in cui era finito quello precedente che poteva essere un fosso, un campo o un cespuglio lungo la strada. La posizione scomoda del tiro era un handicap formidabile e spesso condizionava l’abilità del lanciatore per arrivare favorito a “spitare”, cioè ad effettuare l’ultimo lancio che, come nella staffetta, era più tranquillo se si partiva da una posizione di vantaggio.
Per quanto è dato sapere, i primi ruzzoloni non erano dischi di legno, ma forme di formaggio invecchiato che il vincitore “soffiava” all’avversario al termine della gara. In mancanza di una dentatura robusta per rodere quel tipo di alimento, le massaie lo grattugiavano sulle tagliatelle: un modo gustoso per ricordare la vittoria più a lungo. L’usanza è rimasta in vigore fino a non molto tempo fa, specie sulle montagne del Frignano (Modena), dove la cultura e la produzione del formaggio vantano una storia di tutto rispetto.
L’inizio delle gare aveva la sua data canonica nel giorno di Pasqua. La festa della Resurrezione portava la primavera e il sole, specialmente quando era “alta”, e le strade, ancora poco polverose, diventavano lo stadio del tempo. In molte zone, oltre al ruzzolone, si giocava a “boccia forte” con le stesse regole, solo che ad essere lanciata era una sfera, al posto di un disco.
A Perugia con le celebrazioni pasquali iniziava ogni anno la guerra tra il ruzzolone e il Comune; una guerra lunga, durata molti decenni, costantemente persa dal sindaco. Finché non arrivarono avversari più agguerriti, l’asfalto e l’automobile, che decretarono la fine del gioco. Qualche rischio, in effetti, la ruzzola lo presentava, come quello di rompere uno stinco ai passanti o di imbizzarrire i cavalli, e il Comune emanava ordinanze severe corredate da multe salate per scoraggiare i ruzzolonari. Dal momento che il divieto era una cosa impensabile, si cercò di esiliare il gioco in alcune strade di minor traffico, come quella che scendeva a Ponte Felcino, quella di San Marco e quella delle Sette Valli o di Pila. Ma i Perugini se ne infischiavano dei divieti e giocavano dovunque. Magari si raddoppiava il numero degli “avvisatori” e delle vedette perché non succedesse niente di grave. Nonostante ciò, i cronisti riportano numerosi incidenti provocati dal ruzzolone. Ne ricordiamo uno tra i più seri verificatosi sulla strada di San Girolamo, vietata dalle ordinanze comunali. Era il mese di aprile del 1898 e un’anziana signora di 78 anni, Maria Stella Mori, ormai non più agile nel driblare l’attrezzo, venne colpita ad una gamba che le fu poi amputata. L’episodio scatenò vivaci reazioni, tanto che il Comune adottò provvedimenti severi e vietò persino l’innocuo gioco della “bocciarella” che consisteva nel lasciar partire la boccia su una strada in discesa: vinceva quella che si fermava per ultima. La povera gente si divertiva con poco e senza tante emozioni.Quando si giocava con le forme di formaggio, il gruppo degli spettatori si faceva più numeroso e non staccava mai gli occhi “gufatori” dal ruzzolone. Ad ogni lancio veniva guardato con l’interesse e l’avidità dei topi. Se la forma si rompeva, infatti, i pezzi appartenevano a chi li raccoglieva, come se fossero una “res nullius”, e l’assalto ai rottami era uno spettacolo nello spettacolo. Con il pretesto del disco “caseario”, stando ai cronisti ben informati, entrarono in città diverse forme di cacio senza pagare il dazio, tra la gioia di tutti, compresi gli ignari dazieri, per l’ineffabile gusto di farla in barba alla legge, specie se tributaria.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del