ANNIBALE BRUGNOLI
Verso la fine dell’estate del 1859 un ragazzino di sedici anni aveva eseguito un affresco in una chiesetta di periferia che rievocava il “miracolo di San Francesco che attraversa le acque”. A dispetto della giovane età, l’artista presentava un tratto limpido e sicuro e un’ottima abilità nel contrasto e nel paesaggio. Era, insomma, un pennello promettente, ma poco affidabile e un po’ ribelle. Il San Francesco, infatti, ebbe uno strascico risentito perché sulla poppa della barca il pittore aveva dipinto una bandierina tricolore piccola piccola, ma ben visibile. Successe il finimondo quando si venne a sapere che il babbo e lo zio del giovanotto mangiapreti che si chiamava Annibale Brugnoli, il 20 giugno di un paio di mesi prima erano stati visti sugli spalti del Frontone con qualcosa in mano. Annibale dovette fuggire da Perugia perché all’ombra della Rocca Paolina, dove spadroneggiava il generale Schmidt, tirava una brutta aria. Il giovane artista se ne ebbe a male e sette anni dopo, nel marzo del 1866, espose una tela dal titolo significativo: “eccidio che la banda di un frate domenicano fece di un’intera famiglia”. Le scarse simpatie per gli appartenenti alla famiglia papalina diventavano così recidive, e si orientavano in particolare verso i Domenicani di cui non si diceva un gran bene a Perugia. Ma ormai l’Umbria faceva parte del Regno d’Italia e Brugnoli non correva alcun rischio. La sua visione politica era di ampio respiro, non si limitava ai destini di una sola regione, ma dell’Italia intera e proprio in quell’anno si arruolò volontario con Garibaldi che combatteva in Trentino. Con lui partì anche un altro perugino che si chiamava Cesare Fani. A Bezzecca c’erano anche loro.
Annibale Brugnoli era nato a Perugia nel 1843 e aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti con il maestro Silvestro Valeri. Affinò le sue tecniche a Napoli, alla scuola di Domenico Morelli da cui ereditò uno spiccato e sobrio gusto realistico. Raggiunse i massimi livelli nella decorazione e nell’affresco e fu ricercato ed apprezzato per tutto l’arco dell’Italia umbertina, fino alla morte avvenuta nel 1915. A lui appartengono le decorazioni del Teatro Costanzi a Roma e gli affreschi di Palazzo Cesaroni, Palazzo Graziani e Palazzo delle Poste a Perugia, per citare solo alcune coordinate dei suoi capolavori, ma realizzò altre opere di elevato livello artistico, come la tela de “Il Bersagliere” in cui il colore e la tecnica sono al servizio di una sensibilità espressiva di gusto raffinato.
Nel 1872 era già un nome prestigioso a livello nazionale e si offese quando l’Accademia del Pavone gli negò di esporre nel foyer il sipario in cui aveva dipinto “L’arrivo di Lodovico Ariosto” per il teatro di Todi. Le richieste e le commesse si facevano sempre più pressanti e nel 1878 gli fu offerta una vetrina europea con l’incarico di decorare il padiglione italiano all’esposizione del Trocadero di Parigi. L’occasione più ghiotta capitò, però, nel maggio del 1886 con Palazzo Graziani. I grandi affreschi del soffitto e le tele delle pareti rappresentano l’epopea storica di Perugia che con energia vigorosa e tecnica raffinata colpiscono la sensibilità dell’osservatore. L’agilità pittorica dei colori e i limpidi effetti del chiaroscuro danno ai personaggi una vitalità prorompente, in perfetta coerenza con i contenuti rappresentati.
Non si sottrasse all’aspro confronto tra dotti in occasione della ricostruzione delle scale della Vaccara. Era il 1890 e il sindaco Paolo Angeloni le aveva fatte demolire perché cadevano. Si trattava di ricostruirle, ma sul progetto si scatenò una polemica che durò oltre un anno. I sostenitori della birampa, parallela alla facciata, e quelli della monorampa, perpendicolare al portale, si affrontarono a suon di argomentazioni estetiche e di citazioni documentarie. Brugnoli era per la monorampa, e per sbloccare la situazione di stallo propose di realizzare entrambe le soluzioni in legno su scala naturale, di collocarle sul posto e di lasciare all’occhio la decisione finale. Era una proposta piena di buon senso e venne accettata, tanto più che faceva risparmiare gran parte delle 2.000 lire deliberate per i lavori di una commissione di studio dotata di meningi robuste. Ma fu realizzata e collocata in sede solo la birampa perché la visita del Re si avvicinava e non si poteva lasciare la piazza del Duomo e della Fontana Maggiore con la ferita del Palazzo dei Priori aperta. I Reali che vennero a Perugia non si accorsero della scala di legno e tutto andò per il meglio. Nel 1902 fu realizzata la monorampa che esiste ancora. I due pittori Brugnoli e Rossi Scotti potevano dirsi felici.
Il suo contributo a Perugia si concluse nel 1903 quando finì di dipingere le sale di Palazzo Cesaroni. Il decano dei nobili perugini non abitò mai quel palazzo per non vedere le finestre del prefetto davanti. Si trattava di un’antica ruggine, nata nel 1890 in occasione della visita di Umberto I per inaugurare il monumento equestre a suo padre, Vittorio Emanuele II. Il prefetto Bernardino Bianchi scelse la carrozza dei Baldeschi, anziché la sua, per prelevare il Re a Fontivegge e da quel momento tutti i prefetti gli divennero odiosi. Dal mese di marzo di quell’anno, Palazzo Cesaroni si chiamò Palace Hotel, più grandioso e solenne, ma meno confortevole del Brufani.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Vivere d'Umbria del 6 luglio 2007)