
Il lavoro più imponente lo fecero gli Etruschi alzando una barriera di ciclopici massi squadrati, in modo che il dirupo a strapiombo sul versante di Santa Margherita evitasse cedimenti pericolosi. Lo stesso trattamento toccò ai burroni del Bulagaio, della Cupa e del Colle Landone. Così l’acropoli antica venne stabilizzata dall’ingegno umano e messa al riparo dai movimenti franosi programmati dalla natura. Dov’è oggi Piazza Matteotti, le mura avevano creato uno slargo che si affacciava in un panorama meraviglioso e lo stupendo balcone, dalla parete rocciosa che faceva da sostegno e da ringhiera, fu chiamato Piazza del Sopramuro. Sul lato esterno non c’era alcun edificio e gli abitanti, al riparo delle mura, potevano godere quella sconfinata visione che oggi è possibile contemplare dalla sommità del Mercato Coperto.
Il balcone continuò a spaziare sulla valle e sui monti per oltre un millennio, fino a quando fu chiuso dai palazzi dello Studium Generale e del Capitano del Popolo, nel Quattrocento. Da allora lo sperone che sosteneva la piazza venne ingabbiato negli edifici soprastanti e non si vide più. Ma la variante al piano regolatore originario rese pericolosa la pressione sulle mura degli avi e Braccio decise di intervenire con opere di fortificazione risolutive, facendo costruire imponenti arcate di sostegno dagli stessi architetti che avevano realizzato la piazza pensile antistante il Palazzo dei Consoli a Gubbio.
Ormai il Sopramuro non era più una veranda sulla valle e sui monti, ma un salotto cittadino destinato agli usi più vari. Cambiò anche nome a seconda delle mode e degli usi e venne chiamato Platea Parva o Piazza Piccola, per distinguerla da quella grande del Duomo, Piazza delle Erbe, e più tardi Piazza Garibaldi, poi Piazza Costanzo Ciano ed infine Piazza Matteotti.
Il toponimo che resistette più a lungo fu quello di Piazza delle Erbe poiché fino al 1930, anno in cui il commercio delle “erbe” fu spostato al Mercato Coperto, vi si vendevano i prodotti ortofrutticoli, mentre le altre cianfrusaglie e il vasellame di coccio erano esposti in Piazza del Duomo. Ogni mattina una lunga fila di ortolani e di contadini si schierava ai bordi del Sopramuro e mostrava la merce di stagione, colta il giorno avanti. Il servizio era apprezzato dai cittadini dell’acropoli, ma l’igiene veniva seriamente compromessa perché la piazza si ricopriva di foglie di lattuga, di frutta marcia, di bucce e di quant’altro si può immaginare in un mercato del genere. Esistevano seri pericoli di cadute a causa delle bucce scivolose per cui l’intervento dei netturbini, a mercato finito, diventava la prima cosa da fare, a qualunque prezzo. A questo pensò la generosità dei “Signorini di Casa Ranieri”che per secoli si presero cura di eliminare l’immondizia. La famiglia Ranieri aveva il palazzo accanto alla Chiesa grattacielo del Gesù (quattro chiese sovrapposte sul fianco del dirupo e quella che si apre sulla piazza è solo la superiore), all’inizio di via Alessi, e quindi era più interessata degli altri ad eliminare i rifiuti. Tutte le mattine, ad un’ora un po’ tarda secondo l’usanza dei nobili, un distinto maggiordomo in livrea accompagnava su e giù per la piazza i due signorini che svolgevano il proprio lavoro con competenza e passione. Bisognava solo frenare la loro invadenza perché i due voraci netturbini cercavano di mettere il grugno anche nelle ceste della merce buona. I signorini in questione, infatti, erano due maiali che non costavano niente al Comune, non avanzavano rivendicazioni salariali e si ingrassavano con gli scarti degli altri, senza sfruttare nessuno. Si trattava di una generosa opera di volontariato conclusa ogni anno a gennaio con il rimpiazzo dei due operatori ecologici che, con l’arrivo del freddo, venivano sistematicamente insaccati. Alla fine del lavoro, docili e satolli, rientravano a palazzo nei loro appartamenti che si affacciavano negli orti sottostanti e a cui si accedeva da un vicolo cieco chiamato “Via del Porco”.
Da qualche buon anno non salgo più nell’acropoli dove si trovano i palazzi importanti, ma credo che il toponimo esista ancora e non sia stato cambiato dagli zelanti che, ignorando la storia, chi sa cosa immaginano si possa nascondere dietro quel nome affibbiato ad un vicolo buio.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Vivere d'Umbria del 29 giugno 2007)
Il balcone continuò a spaziare sulla valle e sui monti per oltre un millennio, fino a quando fu chiuso dai palazzi dello Studium Generale e del Capitano del Popolo, nel Quattrocento. Da allora lo sperone che sosteneva la piazza venne ingabbiato negli edifici soprastanti e non si vide più. Ma la variante al piano regolatore originario rese pericolosa la pressione sulle mura degli avi e Braccio decise di intervenire con opere di fortificazione risolutive, facendo costruire imponenti arcate di sostegno dagli stessi architetti che avevano realizzato la piazza pensile antistante il Palazzo dei Consoli a Gubbio.
Ormai il Sopramuro non era più una veranda sulla valle e sui monti, ma un salotto cittadino destinato agli usi più vari. Cambiò anche nome a seconda delle mode e degli usi e venne chiamato Platea Parva o Piazza Piccola, per distinguerla da quella grande del Duomo, Piazza delle Erbe, e più tardi Piazza Garibaldi, poi Piazza Costanzo Ciano ed infine Piazza Matteotti.
Il toponimo che resistette più a lungo fu quello di Piazza delle Erbe poiché fino al 1930, anno in cui il commercio delle “erbe” fu spostato al Mercato Coperto, vi si vendevano i prodotti ortofrutticoli, mentre le altre cianfrusaglie e il vasellame di coccio erano esposti in Piazza del Duomo. Ogni mattina una lunga fila di ortolani e di contadini si schierava ai bordi del Sopramuro e mostrava la merce di stagione, colta il giorno avanti. Il servizio era apprezzato dai cittadini dell’acropoli, ma l’igiene veniva seriamente compromessa perché la piazza si ricopriva di foglie di lattuga, di frutta marcia, di bucce e di quant’altro si può immaginare in un mercato del genere. Esistevano seri pericoli di cadute a causa delle bucce scivolose per cui l’intervento dei netturbini, a mercato finito, diventava la prima cosa da fare, a qualunque prezzo. A questo pensò la generosità dei “Signorini di Casa Ranieri”che per secoli si presero cura di eliminare l’immondizia. La famiglia Ranieri aveva il palazzo accanto alla Chiesa grattacielo del Gesù (quattro chiese sovrapposte sul fianco del dirupo e quella che si apre sulla piazza è solo la superiore), all’inizio di via Alessi, e quindi era più interessata degli altri ad eliminare i rifiuti. Tutte le mattine, ad un’ora un po’ tarda secondo l’usanza dei nobili, un distinto maggiordomo in livrea accompagnava su e giù per la piazza i due signorini che svolgevano il proprio lavoro con competenza e passione. Bisognava solo frenare la loro invadenza perché i due voraci netturbini cercavano di mettere il grugno anche nelle ceste della merce buona. I signorini in questione, infatti, erano due maiali che non costavano niente al Comune, non avanzavano rivendicazioni salariali e si ingrassavano con gli scarti degli altri, senza sfruttare nessuno. Si trattava di una generosa opera di volontariato conclusa ogni anno a gennaio con il rimpiazzo dei due operatori ecologici che, con l’arrivo del freddo, venivano sistematicamente insaccati. Alla fine del lavoro, docili e satolli, rientravano a palazzo nei loro appartamenti che si affacciavano negli orti sottostanti e a cui si accedeva da un vicolo cieco chiamato “Via del Porco”.
Da qualche buon anno non salgo più nell’acropoli dove si trovano i palazzi importanti, ma credo che il toponimo esista ancora e non sia stato cambiato dagli zelanti che, ignorando la storia, chi sa cosa immaginano si possa nascondere dietro quel nome affibbiato ad un vicolo buio.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Vivere d'Umbria del 29 giugno 2007)