DAL VELOCIPEDE ALLA PRIMA AUTOMOBILE


Una stranissima macchina a due ruote era comparsa in Italia intorno al 1820 e si affermò subito in varie parti della penisola. Non sappiamo con esattezza quando fece la sua apparizione a Perugia, ma nel 1872 doveva essere già abbastanza diffusa se nel mese di luglio, fuori Porta Santa Croce, lungo il viale di Sant’Anna, si verificarono i primi incidenti. Il fatto destò una certa preoccupazione tra i pedoni abituati ai mansueti quadrupedi, e gli spericolati rompicollo arrampicati su quel traliccio metallico che chiamavano velocipede, erano il segno che i tempi prendevano una brutta piega. “Il Corriere” si dilungò in servizi di cronaca ricostruendo l’accaduto e invocando l’adozione di drastici provvedimenti.
Il velocipede era costituito da una grande ruota anteriore ed una piccola posteriore, mentre il conducente si inalberava nella parte più alta per azionare i pedali innestati al mozzo della ruota grande. Quando si cadeva da quella posizione qualcosa si rompeva sempre.
Il rivoluzionario veicolo si diffuse rapidamente e nel marzo del 1888 fu fondato il “Veloce Club” che assunse un ruolo importante nella vita cittadina non solo nell’organizzazione degli associati, ma anche nella promozione e nel patrocinio di tutte le gare di velocità, comprese quelle dei primi mezzi a motore. Nel mese di giugno dello stesso anno, il “Veloce” riportò uno strepitoso successo a Fabriano dove due Perugini, Eliseo Rivera e Luigi Serafini, vinsero le competizioni organizzate in quella città. Alla gara voleva partecipare anche il conte Marini di Fermo, ma fu escluso perché troppo “progressista”. Il conte si presentò, infatti, in “bicicletto”, una bicicletta a ruote uguali, mentre il regolamento parlava solo di velocipede.
Nel 1893 si scatenò di nuovo una campagna giornalistica contro i velocipedisti colpevoli, secondo “L’Unione Liberale”, di costituire un costante e grave pericolo per l’incolumità dei cittadini. Il 29 maggio uno di loro aveva urtato una donna con un bambino in braccio in via dell’Università. Non successe niente di grave, tanto che la signora era rimasta in piedi, ma lo spericolato conducente era filato via senza prestare eventuali soccorsi. L’indignazione popolare aumentò quando si venne a sapere che il veloce veicolo era addirittura privo di campanello. Il giornale lanciò un bel “tormentone”, e alla fine del mese il sindaco fu costretto ad adottare un’ordinanza in cui si decretava il divieto di circolazione dei velocipedi per le vie cittadine. Si poteva pedalare solo da Piazza d’Armi al Frontone, a condizione di essere muniti di targa.
Gli agguerriti amanti della birota si scatenarono non solo per il divieto, ma per il fondato sospetto che la targa mirasse all’imposizione di una tassa, più che alla identificazione del conducente. Non erano passati due mesi che Rocchi ritirò l’ordinanza e riconsegnò al velocipede le vie cittadine, ponendo limiti severi. Il conducente doveva avere più di quattordici anni e il possesso della patente, conseguita con l’esame di “padronanza”; non si doveva superare la velocità degli altri veicoli(?) (forse quella dei cavalli al trotto); tutte le biciclette dovevano essere munite di targa e pagare una tassa annua di tre lire. Una bicicletta costava allora circa 500 lire.
Perugia con i suoi saliscendi non incoraggiava certo la diffusione della bicicletta, eppure espresse personaggi di eccellenza nel pedale, come Giuseppe Evangelisti, campione umbro, e Teoneste Romitelli, le cui imprese sono rimaste famose. I due nell’inverno del 1893 partirono da Fontivegge per Magione con la strada coperta da oltre 30 centimetri di neve e coprirono la distanza in cinquanta minuti. Nell’estate precedente, Romitelli aveva fatto una tournèe di 62 giorni in luoghi montani, dove le due ruote erano quasi sconosciute, destando sorpresa e ammirazione. Più che di un’idea sua, si trattò del lancio pubblicitario della “Raleigh C. Pneumatica Dunlop da Corsa” che aveva fornito la bici per attraversare i 170 centri urbani tra paesi e città.
Anche per questi meriti il primo giro ciclistico d’Italia (e molti altri successivi), il 23 maggio 1909, fece tappa a Perugia. Ad attendere i girini partiti alle 4 da Roma, in Piazza d’Armi c’erano il prefetto, il sindaco, il presidente della Provincia e il generale comandante della Divisione. Aspettarono molto perché l’arrivo previsto per 9,30 andò a finire alle 11.
Se l’arrivo della prima bici a Perugia è incerto, conosciamo bene quello della prima automobile apparsa nell’afoso pomeriggio di mercoledì 11 agosto 1998. Il conducente della vettura a tre ruote, con due posti anteriori ed uno posteriore, era Federico Benigni, membro del “Veloce”. Si trattava di una “De Dion-Bouton”, acquistata subito dopo dal giovane Ferruccio Fruttini, il primo automobilista perugino. La macchina raggiungeva i 40 chilometri orari, ma la declamata potenza faceva cilecca e tornando da Roma, Sargentini e maioli, gli amici che Fruttini aveva imbarcato, dovettero fare la salita della Somma a piedi.
Antonio Sereni fu il secondo che nella primavera del 1899 acquistò una Benz a quattro ruote, ultima generazione. Il padre, un avvocato avveduto e sparagnino, era perplesso perché gli avevano detto che quei mostri divoravano tanta benzina, venduta dai droghieri a una lira al litro. Il giovane Sereni per tranquillizzare il padre e far vedere agli amici le conquiste del progresso, affermò che quel bolide si alimentava con poco e, aperto il cofano, rimboccò il radiatore con una brocca d’acqua.
Ci sono molti episodi curiosi legati al diffondersi delle prime automobili. All’Hotel Brufani arrivò uno straniero che scendendo dal veicolo acciaccò il piede di uno dei curiosi accorsi per scrutare la macchina. Il distinto signore pronunciò una parola ritenuta offensiva e stava per scoppiare una rissa quando il personale dell’albergo chiarì che l’insulto era “Pardon”. A Ponte San Giovanni si fermò un’automobile, e l’elegante signora di bordo consegnò uno scatolone ad un bambino, pregandolo di portarlo alla mamma. Dentro c’era un neonato e un pacco di banconote da cento per un valore di 25.000 lire. A Magione, a Passignano e a Città di Castello i veicoli furono presi a sassate e i conducenti a frustate dai contadini e dai carrettieri perché il rombo del motore faceva imbizzarrire i loro animali.
I limiti di velocità erano severi e le multe salate. In città non si potevano superare i 15 chilometri orari e nelle strade extraurbane i 40, ridotti a 20 nelle ore notturne. Non poteva mancare la tassa di circolazione: per un veicolo sotto i 6 cavalli si pagava 70 lire; da 6 a 24 cavalli 150, e lire 3 per ogni cavallo supplementare. Gli introiti venivano divisi in parti uguali tra il Comune e lo Stato. E’ ovvio che la targa fosse obbligatoria, come per le bici: la provincia di Perugia ebbe per lunghi anni come contrassegno il “46 rosso”.
Il 5 maggio del 1901 arrivò il primo giro automobilistico. Vi presero parte 32 veicoli e tra i piloti c’era anche una donna. Il conte Roberto Biscaretti di Torino, a bordo di una Fiat fiammante a 12 cavalli (era il primo anno di produzione della fabbrica torinese), si aggiudicò la tappa perugina. Le macchine furono subito parcheggiate nel cortile della Prefettura, sotto vigile scorta. Altre numerose gare passarono per la città negli anni successivi.
Il Brufani volle rimanere all’avanguardia dell’ospitalità e nel 1906 acquistò il primo omnibus, un pulmino capace di prelevare 12 clienti alla stazione ferroviaria.
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Vivere d'Umbria del 1 giugno 2007)