Reginaldo Ansidei

Nella scala delle gerarchie nobiliari, Perugia fece un passo in avanti perché un conte era superiore ad un barone nel cursus honorum aristocratico. E con un blasonato del genere ebbe inizio la terna dei sindaci dalla salute di ferro (Ansidei, Rocchi e Valentini) che ricoprì 48 dei 62 anni intercorsi tra l’Unità d’Italia e l’avvento del fascismo.
Reginaldo Ansidei (nella foto), insomma, aveva i numeri per passare alla storia municipale e quando Danzetta lasciò il Palazzo dei Priori per occupare il suo seggio alla Camera dei Deputati, e i consiglieri scelsero lui come successore, il Re non esitò a firmare il decreto, il 31 maggio 1861.
Nato nel 1823 aveva due anni meno del suo predecessore e come lui vantava una laurea in Giurisprudenza “in utroque”, come si diceva allora. Amava l’arte pittorica e le cronache del tempo ci assicurano che disegnava benissimo. Si mise subito al lavoro per dare alla città un volto dignitoso e pulito, liberandola dalle deturpazioni e dalla sporcizia che i vari delegati papalini avevano tollerato e in parte prodotto, incominciando dal Palazzo dei Priori dove le violenze perpetrate alla stupenda architettura originaria, con la demolizione e muratura di alcune trifore gotiche e l’apertura di finestre munite di orrende persiane per ricavare riservatissime sale ai monsignori di turno, gridava vendetta al cospetto degli uomini. I Perugini, che avevano assistito impotenti allo scempio del loro Palazzo, apprezzavano la sua rude bellezza e protestarono con il sindaco perché i pezzi inseriti per effettuare il restauro biancheggiavano troppo e ne chiesero il patinamento.
Più complesso e difficile fu l’impegno per ripulire la città. Ripetute ordinanze affisse sui muri stabilivano il divieto “… di imbrattare comunque le pubbliche strade e gettare acqua, immondizie, sozzure, lavature di salumi, macerie, cose fetenti e fluidi qualunque, sia dalle finestre che dalle porte di casa e botteghe. Resta ugualmente vietato di imbrattare con orine tutte quelle vie e piazze ove sono sistemati pubblici orinatoi…”
La campagna di bonifica igienica era iniziata nel mese di febbraio 1864 con l’obbligo di mettere le gronde ai tetti dei palazzi, poiché l’acqua si rovesciava sui passanti con una violenza tale da sfondare gli ombrelli e irrorare copiosamente pantaloni e sottane. I proprietari avevano tempo un anno per adeguarsi alle inclemenze del tempo.
Nel mese di agosto ci si misero anche i cani a creare grattacapi al dinamico sindaco. Gli accalappiacani municipali si erano tutti dimessi perché disprezzati dalla popolazione e fatti bersaglio di lazzi e offese feroci. Ai Perugini stavano molto a cuore gli amici a quattro zampe e chi aveva il compito di catturali era considerato come il boia del Bulagaio. Ma i cani in circolazione erano troppi e oltre a creare inconvenienti facilmente intuibili, si temeva il pericolo dell’idrofobia che, secondo le convinzioni del tempo, era causata dalla sete patita. Giova ricordare che il morso di un cane idrofobo portava prima dal medico, poi al cimitero, e il sindaco impose che ogni negozio tenesse davanti alla porta un recipiente pieno d’acqua, da cambiarsi ogni giorno, come terapia preventiva. Dal momento che bisognava convivere con quelle bestie era preferibile che avessero una buona salute e non facessero una vita da cani. Nell’occasione fu imposto anche l’uso del collare con una piastrina su cui doveva essere inciso il nome, ma non fu precisato se dell’animale o del proprietario.
I provvedimenti del sindaco testimoniano, senza ombra di dubbio, che Corso Vannucci in quegli anni era ben lungi dall’essere il “salotto” che i Perugini vantano oggi con legittimo orgoglio.
L’attenzione per la città andò di pari passo con quella per il mondo rurale e nel mese di settembre 1862 il sindaco lanciò il proclama di una martellante campagna del cotone. Ansidei era convinto che si potesse coltivare anche in Umbria la pianta della fibra tessile, provvidenziale in quegli anni, dal momento che la Louisiana e la Georgia erano invischiate nella tormentata Guerra di Secessione americana. Il sindaco ci provò, ma fu un fiasco completo. Ebbero, invece, successo il potenziamento dell’istruzione pubblica che vide nascere la prima scuola serale per lavoratori e un’assistenza sanitaria più estesa con la creazione di condotte mediche nelle campagne (Mugnano, Castel del Piano, Ponte San Giovanni, Ponte Felcino e Colle del Cardinale).
Il 7 giugno 1861 la “Gazzetta dell’Umbria” uscì listata a lutto: era morto Cavour. I timori per la traballante unità raggiunta si unirono al rimpianto per la perdita dello statista. Anche la Messa funebre che i liberali perugini volevano celebrare in Duomo rischiava di andare a monte perché Cavour era uno scomunicato. Ansidei si recò personalmente dall’Arcivescovo Pecci a perorare l’iniziativa e solo dopo la conferma arrivata da Torino che il Primo Ministro era morto con i Sacramenti, fu celebrata la solenne cerimonia funebre in cattedrale.
Ansidei si adoperò per far venire il Re a Perugia, ma al Ricasoli sembrava prematura una visita del Sovrano nelle terre che fino a poco prima erano state del Papa. Vittorio Emanuele II, infatti, sarà ospite della città solo il 30 gennaio 1869; intanto arrivò il principe Umberto, la sera del 30 settembre 1861.
Ricoprì l’incarico di sindaco fino al 3 luglio 1879 con un intervallo (1868-1870) che vide alla ribalta Evelino Waddington. In occasione della morte (6 febbraio 1892) la poetessa Alinda Bonacci Brunamonti gli dedicò questa epigrafe: “Sostenne per XVI anni la dignità di Sindaco di Perugia / vagheggiando per il suo Municipio / gli splendori e la forza degli antichi comuni / con fine intelletto d’amore / conservando restaurando edificando / cuore munifico vita operosa.”
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 3 aprile 2006)