
Nacque a Palermo il 2 giugno 1743 da povera gente, ma come tutti i plebei con manie di grandezza immaginò ascendenti nobili e famosi blasoni. Si chiamava Giuseppe Balsamo. Il padre Pietro, piccolo commerciante, morì presto lasciando la famiglia in un mare di debiti. La madre, Felicia Bracconieri, aveva una cugina che fece da madrina a Giuseppe e che andò sposa ad un benestante di Messina, certo Giuseppe Cagliostro, l’unico dei parenti che se la passasse benino. Questo nome sarà assunto dal mago, dopo averlo elevato al rango di conte, nelle numerose metamorfosi della sua esistenza.
Gli zii provarono a farlo studiare nel collegio di San Rocco, ma Giuseppe si mostrò refrattario ad ogni imposizione e allergico ad ogni disciplina scolastica, ad eccezione della chimica. L’unica tecnica in cui si specializzò in collegio fu quella delle fughe che costrinsero i parenti a riportarselo a casa. Un giorno passò per Palermo il generale dei Fatebenefratelli e Giuseppe venne a lui affidato per tirarci fuori un monaco. La curiosità della vita monastica affascinò l’adolescente che seguì il frate in groppa alla sua mula verso Caltagirone, dove l’ordine aveva un convento. Fu messo nella farmacia del monastero come aiutante dello speziale. Il contatto con alambicchi, storte, fornelli, erbe, decotti, miscele ed ebollizioni magiche alimentò la sua fantasia già predisposta a coltivare interessi del genere. In questa occasione si sentì padrone dei segreti della vita che poteva essere manipolata con ingredienti opportuni. Era il secolo dei lumi, ma la chimica ancora si identificava con l’alchimia facendo leva sull’immaginazione più che sulla ragione. Proprio quello che desiderava Giuseppe Balsamo.
La sua indole ribelle, amante delle taverne, delle bische e dei bordelli prese, però, ben presto il sopravvento ed un bel giorno, invitato a leggere le litanie durante la refezione, sostituì al nome della Vergine quello delle più note baldracche di Palermo. Al punto in cui stavano le cose, il progetto di tirarci fuori un monaco, anche raccapezzato, andò a monte e gli stessi parenti lo cacciarono da casa.
Ebbe inizio un ventennio di vita randagia, di truffe e di raggiri per sbarcare il lunario, finché nel 1768 sposò a Roma l’avvenente Lorenza Feliciani, che aveva solo quattordici anni. Tra il maturo marito e la giovane moglie si stabilì un rapporto di complicità e non altro, mentre continuarono i vagabondaggi e le truffe per tutti i paesi europei. I due coniugi si erano divisi i ruoli: Lorenza adescava gli uomini facoltosi e rispettabili e li portava in camera; Giuseppe arrivava al momento giusto con le condizioni economiche da far sottoscrivere per tacitare lo scandalo. Con questo sistema che richiedeva poca fatica e l’impiego di capitali modesti i due coniugi registrarono facili entrate. Lorenza non doveva tribolare in questo lavoro perché aveva un fascino notevole e ce lo assicura un esperto come Giacomo Casanova che la conobbe nel 1769 a Aix en Provence. Nella Storia della mia vita a proposito di quell’incontro scrive: “Ella era singolarmente interessante per la giovane età che dimostrava e per la sua rara bellezza velata da una espressione di strana malinconia.”
Dopo lunghe peregrinazioni e innumerevoli metamorfosi anagrafiche, nel 1776 la coppia ritornò a Londra; lui era il “conte Alessandro di Cagliostro”, e lei la “Celestiale Serafina”. La fama di taumaturgo e guaritore si era sparsa dovunque e la conoscenza dell’occultismo che il neo conte vantava di possedere gli assicurava un fascino irresistibile. Venne ammesso alla loggia massonica “La Speranza” e da questo momento la vicenda di Cagliostro può essere ricostruita sulla base di documenti ufficiali e non su libelli diffamatori o di parte, come quello di monsignor Barberi, il suo accusatore implacabile dinanzi al Tribunale dell’Inquisizione. La massoneria gli aprì la strada del successo e gli rilasciò il passaporto per tutte le corti europee dall’Aia a Berlino, dalla Curlandia a Pietroburgo e alla Polonia.
Il nuovo rito egiziano, da lui inventato e di cui era “Gran Cofto”, aveva affascinato nobili ed intellettuali con le originali pratiche rituali. Un ruolo importante lo svolgeva Serafina, nel frattempo diventata la “regina di Saba” che era a capo di una loggia che ammetteva anche le donne. L’indole generosa, la conoscenza di alcuni elementi del magnetismo animale e dei segreti alchemici, la capacità di infondere fiducia ai suoi interlocutori e nello stesso tempo di turbarli con la profondità dello sguardo, contribuirono a rafforzare il fascino e l’alone di mistero che circondava il mago. Ormai aveva raggiunto l’apice del successo istituendo a Lione la “madre loggia”, la Sagesse triomphante, del rito egiziano a cui aderirono le personalità più importanti di Francia, ospitata in una sede fiabesca.
Ma la fortuna gli stava volgendo le spalle e fu coinvolto nel più celebre e complicato scandalo dell’epoca: la truffa della “collana della Regina” che scosse la Francia. I due coniugi, che questa volta erano del tutto innocenti, vennero incarcerati nella Bastiglia e poi esiliati. Seguirono momenti difficili con nuove e interminabili peregrinazioni. Non trovando più appoggio tra i liberi muratori, che oramai lo giudicavano un lestofante, Cagliostro tentò di costituire una loggia di rito egiziano a Roma. L’iniziativa fallì e fu vista come una sfida aperta alla Chiesa che alla massoneria addossava il rovesciamento dell’ancienne regime e le sciagure della rivoluzione francese. Da quel momento il Sant’Uffizio sorvegliò con zelo le mosse dello sprovveduto e pericoloso avventuriero.
Il pretesto per procedere contro di lui fu offerto proprio da Lorenza che su consiglio dei parenti e del confessore denunciò il marito all’Inquisizione come eretico e massone. Il mago venne arrestato e rinchiuso in Castel Sant’Angelo in attesa del processo. La sentenza era scontata ed il tribunale, presieduto dal Segretario di Stato cardinale Zelada, lo giudicò colpevole di eresia, massoneria ed attività sediziose. Il 7 aprile 1790 fu emessa la sentenza di condanna a morte e indetta, nella pubblica piazza, la solenne cerimonia del fuoco per la distruzione degli scritti e degli arnesi massonici. Cagliostro fu costretto ad abiurare in cambio della commutazione della pena di morte in quella del carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni della fortezza di San Leo. Lorenza fu assolta e rinchiusa nel convento di Sant’Apollonia in Trastevere dove terminò i suoi giorni. Il mago venne sigillato nella cella del Tesoro, la più sicura ma anche la più tetra ed umida della fortezza. In seguito ad alcune voci su una presunta fuga organizzata da parte dei suoi sostenitori, fu trasferito nella cella del Pozzetto, da cui era impossibili evadere e che costituiva da sola un’atroce tortura. Il 26 agosto 1795 gli stenti finirono. La leggenda che aveva accompagnato la sua vita si impossessò anche della morte con la scomparsa del corpo per rendere immortale le gesta di questo enigmatico personaggio.
L’arciprete di San Leo, don Luigi Marini, scrisse di propria mano il seguente atto di morte:
“Anno del Signore 1795, nel giorno 28 del mese di agosto Giuseppe Balsamo, soprannominato Conte di Cagliostro, di Palermo, battezzato ma incredulo, eretico, celebre per cattiva fama, dopo aver diffuso per diverse Nazioni d’Europa l’empia dottrina della massoneria egiziana, alla quale guadagnò con sottili inganni un numero infinito di seguaci, incappò in varie peripezie, alle quali non si sottrasse senza danno, in virtù della sua astuzia e abilità; finalmente per sentenza della Santa Inquisizione relegato in carcere perpetuo nella rocca di questa città, con la speranza che si ravvedesse, avendo sopportato con altrettanta fermezza e ostinazione i disagi del carcere per quattro anni, quattro mesi, cinque giorni, colto da un improvviso colpo apoplettico, di mente perfida e cuore malvagio qual era, non avendo dato il minimo segno di pentimento, muore senza compianto, fuori della Comunione di Santa M. Chiesa, all’età di cinquantadue anni, due mesi e diciotto giorni. Nasce infelice, più infelice vive, infelicissimo muore il giorno 26 agosto dell’anno suddetto verso le ore 22,45. Nella circostanza fu indetta pubblica preghiera, se mai il misericordioso Iddio volgesse lo sguardo all’opera delle sue mani. Come eretico, scomunicato, peccatore impenitente gli viene negata la sepoltura secondo il rito ecclesiastico. Il cadavere è tumulato proprio sulla estrema punta del monte che guarda ad occidente, quasi ad uguale distanza tra i due fortilizi destinati alle sentinelle, comunemente denominati il Palazzetto e il Casino, sul terreno della Reverenda Camera Apostolica il giorno 28 alle ore 18, 15.”
Roberto Sciurpa
(Pubblicato su Corriere dell'Umbria del 28 novembre 2005)
Gli zii provarono a farlo studiare nel collegio di San Rocco, ma Giuseppe si mostrò refrattario ad ogni imposizione e allergico ad ogni disciplina scolastica, ad eccezione della chimica. L’unica tecnica in cui si specializzò in collegio fu quella delle fughe che costrinsero i parenti a riportarselo a casa. Un giorno passò per Palermo il generale dei Fatebenefratelli e Giuseppe venne a lui affidato per tirarci fuori un monaco. La curiosità della vita monastica affascinò l’adolescente che seguì il frate in groppa alla sua mula verso Caltagirone, dove l’ordine aveva un convento. Fu messo nella farmacia del monastero come aiutante dello speziale. Il contatto con alambicchi, storte, fornelli, erbe, decotti, miscele ed ebollizioni magiche alimentò la sua fantasia già predisposta a coltivare interessi del genere. In questa occasione si sentì padrone dei segreti della vita che poteva essere manipolata con ingredienti opportuni. Era il secolo dei lumi, ma la chimica ancora si identificava con l’alchimia facendo leva sull’immaginazione più che sulla ragione. Proprio quello che desiderava Giuseppe Balsamo.
La sua indole ribelle, amante delle taverne, delle bische e dei bordelli prese, però, ben presto il sopravvento ed un bel giorno, invitato a leggere le litanie durante la refezione, sostituì al nome della Vergine quello delle più note baldracche di Palermo. Al punto in cui stavano le cose, il progetto di tirarci fuori un monaco, anche raccapezzato, andò a monte e gli stessi parenti lo cacciarono da casa.
Ebbe inizio un ventennio di vita randagia, di truffe e di raggiri per sbarcare il lunario, finché nel 1768 sposò a Roma l’avvenente Lorenza Feliciani, che aveva solo quattordici anni. Tra il maturo marito e la giovane moglie si stabilì un rapporto di complicità e non altro, mentre continuarono i vagabondaggi e le truffe per tutti i paesi europei. I due coniugi si erano divisi i ruoli: Lorenza adescava gli uomini facoltosi e rispettabili e li portava in camera; Giuseppe arrivava al momento giusto con le condizioni economiche da far sottoscrivere per tacitare lo scandalo. Con questo sistema che richiedeva poca fatica e l’impiego di capitali modesti i due coniugi registrarono facili entrate. Lorenza non doveva tribolare in questo lavoro perché aveva un fascino notevole e ce lo assicura un esperto come Giacomo Casanova che la conobbe nel 1769 a Aix en Provence. Nella Storia della mia vita a proposito di quell’incontro scrive: “Ella era singolarmente interessante per la giovane età che dimostrava e per la sua rara bellezza velata da una espressione di strana malinconia.”
Dopo lunghe peregrinazioni e innumerevoli metamorfosi anagrafiche, nel 1776 la coppia ritornò a Londra; lui era il “conte Alessandro di Cagliostro”, e lei la “Celestiale Serafina”. La fama di taumaturgo e guaritore si era sparsa dovunque e la conoscenza dell’occultismo che il neo conte vantava di possedere gli assicurava un fascino irresistibile. Venne ammesso alla loggia massonica “La Speranza” e da questo momento la vicenda di Cagliostro può essere ricostruita sulla base di documenti ufficiali e non su libelli diffamatori o di parte, come quello di monsignor Barberi, il suo accusatore implacabile dinanzi al Tribunale dell’Inquisizione. La massoneria gli aprì la strada del successo e gli rilasciò il passaporto per tutte le corti europee dall’Aia a Berlino, dalla Curlandia a Pietroburgo e alla Polonia.
Il nuovo rito egiziano, da lui inventato e di cui era “Gran Cofto”, aveva affascinato nobili ed intellettuali con le originali pratiche rituali. Un ruolo importante lo svolgeva Serafina, nel frattempo diventata la “regina di Saba” che era a capo di una loggia che ammetteva anche le donne. L’indole generosa, la conoscenza di alcuni elementi del magnetismo animale e dei segreti alchemici, la capacità di infondere fiducia ai suoi interlocutori e nello stesso tempo di turbarli con la profondità dello sguardo, contribuirono a rafforzare il fascino e l’alone di mistero che circondava il mago. Ormai aveva raggiunto l’apice del successo istituendo a Lione la “madre loggia”, la Sagesse triomphante, del rito egiziano a cui aderirono le personalità più importanti di Francia, ospitata in una sede fiabesca.
Ma la fortuna gli stava volgendo le spalle e fu coinvolto nel più celebre e complicato scandalo dell’epoca: la truffa della “collana della Regina” che scosse la Francia. I due coniugi, che questa volta erano del tutto innocenti, vennero incarcerati nella Bastiglia e poi esiliati. Seguirono momenti difficili con nuove e interminabili peregrinazioni. Non trovando più appoggio tra i liberi muratori, che oramai lo giudicavano un lestofante, Cagliostro tentò di costituire una loggia di rito egiziano a Roma. L’iniziativa fallì e fu vista come una sfida aperta alla Chiesa che alla massoneria addossava il rovesciamento dell’ancienne regime e le sciagure della rivoluzione francese. Da quel momento il Sant’Uffizio sorvegliò con zelo le mosse dello sprovveduto e pericoloso avventuriero.
Il pretesto per procedere contro di lui fu offerto proprio da Lorenza che su consiglio dei parenti e del confessore denunciò il marito all’Inquisizione come eretico e massone. Il mago venne arrestato e rinchiuso in Castel Sant’Angelo in attesa del processo. La sentenza era scontata ed il tribunale, presieduto dal Segretario di Stato cardinale Zelada, lo giudicò colpevole di eresia, massoneria ed attività sediziose. Il 7 aprile 1790 fu emessa la sentenza di condanna a morte e indetta, nella pubblica piazza, la solenne cerimonia del fuoco per la distruzione degli scritti e degli arnesi massonici. Cagliostro fu costretto ad abiurare in cambio della commutazione della pena di morte in quella del carcere a vita, da scontare nelle tetre prigioni della fortezza di San Leo. Lorenza fu assolta e rinchiusa nel convento di Sant’Apollonia in Trastevere dove terminò i suoi giorni. Il mago venne sigillato nella cella del Tesoro, la più sicura ma anche la più tetra ed umida della fortezza. In seguito ad alcune voci su una presunta fuga organizzata da parte dei suoi sostenitori, fu trasferito nella cella del Pozzetto, da cui era impossibili evadere e che costituiva da sola un’atroce tortura. Il 26 agosto 1795 gli stenti finirono. La leggenda che aveva accompagnato la sua vita si impossessò anche della morte con la scomparsa del corpo per rendere immortale le gesta di questo enigmatico personaggio.
L’arciprete di San Leo, don Luigi Marini, scrisse di propria mano il seguente atto di morte:
“Anno del Signore 1795, nel giorno 28 del mese di agosto Giuseppe Balsamo, soprannominato Conte di Cagliostro, di Palermo, battezzato ma incredulo, eretico, celebre per cattiva fama, dopo aver diffuso per diverse Nazioni d’Europa l’empia dottrina della massoneria egiziana, alla quale guadagnò con sottili inganni un numero infinito di seguaci, incappò in varie peripezie, alle quali non si sottrasse senza danno, in virtù della sua astuzia e abilità; finalmente per sentenza della Santa Inquisizione relegato in carcere perpetuo nella rocca di questa città, con la speranza che si ravvedesse, avendo sopportato con altrettanta fermezza e ostinazione i disagi del carcere per quattro anni, quattro mesi, cinque giorni, colto da un improvviso colpo apoplettico, di mente perfida e cuore malvagio qual era, non avendo dato il minimo segno di pentimento, muore senza compianto, fuori della Comunione di Santa M. Chiesa, all’età di cinquantadue anni, due mesi e diciotto giorni. Nasce infelice, più infelice vive, infelicissimo muore il giorno 26 agosto dell’anno suddetto verso le ore 22,45. Nella circostanza fu indetta pubblica preghiera, se mai il misericordioso Iddio volgesse lo sguardo all’opera delle sue mani. Come eretico, scomunicato, peccatore impenitente gli viene negata la sepoltura secondo il rito ecclesiastico. Il cadavere è tumulato proprio sulla estrema punta del monte che guarda ad occidente, quasi ad uguale distanza tra i due fortilizi destinati alle sentinelle, comunemente denominati il Palazzetto e il Casino, sul terreno della Reverenda Camera Apostolica il giorno 28 alle ore 18, 15.”
Roberto Sciurpa